Cade un vecchio Focus dalla piglia delle riviste da risistemare e
leggo un articolo sulle stringhe.
Multidimensionalità. Da
piccolino, il primo abbozzo di futuro fu quando vidi Nightmare 6 al
cinema. In una scena la protagonista (o l'antagonista, visto che
tifavo per mister Krueger) puntava la spada verso lo schermo, lo
trapassava, mirava me!
Uscii dal cinema immaginando che il prossimo passo sarebbe stato aggrapparsi al cane volante de La storia infinita, attraversare l'atmosfera con Navigator, sentire sulla pelle i circuiti di Terminator. Da allora credo siano trascorsi vent'anni, eppure quando sento pronunciare "Stringhe" mi guardo le scarpe, non penso alle dimensioni del multiverso.
Uscii dal cinema immaginando che il prossimo passo sarebbe stato aggrapparsi al cane volante de La storia infinita, attraversare l'atmosfera con Navigator, sentire sulla pelle i circuiti di Terminator. Da allora credo siano trascorsi vent'anni, eppure quando sento pronunciare "Stringhe" mi guardo le scarpe, non penso alle dimensioni del multiverso.
Multiverso, tra l'altro,
non più universo. C'è una teoria denominata M che racchiude tutti i
principi sulle superstringhe (sapete no?, l'universo che si curva, il
continuum spazio temporale di Ritorno al futuro, il salto in avanti,
l'inconsistenza dei fotoni, l'espansione di alcune dimensioni dopo il
big bang rispetto ad altre, la possibilità di universi con leggi
fisiche differenti, cose così. Da nerd rinchiusi in cantina con un
libro di chimica e un narghilè.) e paradossalmente non ritiene che
la dimensione sia un concetto fondamentale. Giusto per complicare di
più il tutto.
Le classiche domande a cui solo uno scienziato o un
oppiomane può rispondere – se si ha la fortuna di porgerle a uno
scienziato mentre fuma, chissà, le risposte potrebbero anche
rasentare il vero.
Se Mia Martini cantasse
ora "Almeno tu nell'UNIverso" il titolo sarebbe meno
poetico e più definitivo. Ma dando ascolto alle ultime teorie
bisognerebbe eliminare il "se" (inteso come possibilità
non concreta) quindi in un altro luogo parallelo Mia la starà
cantando proprio ora.
«Lo dice la teoria
quantistica» da un po' di tempo è la risposta ai grandi quesiti
dell'umanità.
Aria fritta, in fondo.
Da bambino a catechismo
chiedevo le cose e mi rispondevano coi dogmi, "Perché lo dice
la Bibbia".
Ora domando e mi dicon che è la meccanica
quantistica.
I bambini si riempiono la bocca di domande e gli adulti
di non risposte, forse è per questo che le persone meno curiose
crescendo prendono le cose per dati di fatto e perdono le sfumature
che stanno al di là di ciò che appare.
Com'è che diceva
quell'aviatore? "L'essenziale è invisibile agli occhi."
"Anche il Bosone di
Higgs", risponderebbero i geniacci del CERN.
Un po' come se da un lato
gli scienziati volessero continuare le ricerche ma con un velo di
ipocrisia, con addosso la maschera di Ponzio Pilato.
Ma – per
fortuna il Ma non l'hanno ancora cancellato dalle nostre coscienze –
nel progresso, nella tecnologia spiccia, è la conquista della terza
dimensione ad affascinarci, e quando si sente parlare di curve la
mente torna ai dettagli di Scarlett Johansson. I film in 3D, per
dire.
Lord of the Rings ha una
dimensione in più rispetto a Star Wars ma questo dato non significa
affatto che il primo sia migliore (anche se Jabba the Hutt in 3D
sarei curioso di vederlo).
Qualcosa ancora non mi
convince, in tutti questi sfarzosi kolossal da vedere alla Warner (o
come caspita si chiama adesso); esco dal cinema con quel sapore in
bocca tipo quando porto la lei di turno in un ristorante chic per
scoprire che oltre a pareti dipinte in terra fiorentina e le sedie
comode tutto il resto è un mix di attese, portate insipide e
cameriere tutt'altro che attraenti. Adoro Vita di Pi (tratto da un
romanzo, sarà un caso?) ma credo che anche senza alcuni effetti il
risultato sarebbe stato altrettanto splendido. È ancora per fortuna
la storia in sé a fare differenza.
Un po' come se l'effetto
speciale abbia annichilito la trama rendendola superflua come il
contorno di verdure lesse.
Tant'è che pare nel cinema ci sia una sorta di bilanciamento delle dimensioni: la maggior parte dei film in 3D acquistano profondità e nello stesso tempo l'effetto speciale estremizzato elimina lo spessore del film. Come dire che i fuochi d'artificio durante il matrimonio non renderanno la storia più duratura e avvincente se prima / dietro / sotto non ci sono altri tipi di affinità.
Tant'è che pare nel cinema ci sia una sorta di bilanciamento delle dimensioni: la maggior parte dei film in 3D acquistano profondità e nello stesso tempo l'effetto speciale estremizzato elimina lo spessore del film. Come dire che i fuochi d'artificio durante il matrimonio non renderanno la storia più duratura e avvincente se prima / dietro / sotto non ci sono altri tipi di affinità.
Forse è per questo che
esiste il termine "vita piatta".
In effetti quando
combiniamo qualcosa di eccitante aumentiamo la percezione dei sensi
più che delle dimensioni (che ne so, ricordo il gusto dell'aria in
bocca mentre rimbalzavo col bungee jumpin', per dirne una.)
Eppure tutta questa
tecnologia è in ritardo di secoli rispetto ai narratori di storie.
Loro sì, che ti sbalzano in altri mondi manco fossimo particelle
accelerate.
Il buon scrittore
dovrebbe creare storie in grado di rendere il lettore uno yo-yo.
Se si ha la fortuna di
imbattersi in un romanzo degno, lettore e autore toccano con mano il
piacere psichedelico della sinestesia.
Sentiamo il rumore delle
astronavi in atterraggio tra i romanzi di Asimov, percepiamo l'odore
di marcio tra i mercati ne Il profumo di Suskind, ci togliamo da
dosso il sale dopo aver letto Il vecchio e il mare, visualizziamo le
periferie messicane tra le parole di Arriaga, cose così.
Si dice di uno scrittore
bravo: "Scrive da Dio", anche se non mi risulta che Dio
abbia mai scritto nulla. Per quanto ne so potrebbe pure essere –
dandone per scontata l'esistenza, intendo – analfabeta.
Comunque.
Lo scrittore, delle
dimensioni, se ne frega; il suo compito è creare frasi, non progetti
su Autocad.
E quando una frase passa
dall'essere letta all'essere assorbita?
Una buona frase dovrebbe
essere soffice come una persona che durante lo shopping domenicale
mentre osserva le vetrine si preoccupa di non calpestare le ombre dei
passanti; inoltre deve essere altrettanto implacabile, deve azzannare
la giugulare del soggetto in questione.
Insomma, una buona frase
– e di conseguenza un buon scrittore – è Luis Suarez vestito a
festa.
Da un po' di tempo invece
il pubblico esige romanzi bidimensionali, sfumature pop porno,
investigatori strafighi, i dolori del Giovane Pisellino, le pagine
come un mucchio di parole, u.s.a. e getta, slogan da ricopiare sulla
Smemo.
Di tutti i sensi, abbiamo
innalzato la vista al primo posto.
La conseguenza è che
siamo invasi da romanzi "rifacimenti di", da ascoltare con
audiolibro mentre si stira o si è fermi in coda, incollati al
clacson.
Non c'è mai tempo per
leggere. Eppure se si inizia un romanzo avvincente, il tempo
scompare.
Lasci "Still life
with Woodpecker" a metà prima di andare al lavoro e magari due
ore dopo pensi "Cosa starà combinando ora la Principessa
Leigh-Cherie?"
È lì il Grande Segreto,
la Dimensione Definitiva: un buon libro apre la porta alla percezione
di un mondo che è dentro di noi ed è al di fuori di tutto, un luogo
nella mente dove le stronzate da meccanica quantistica non vengono
menzionate eppure semplicemente esistono.
Un buon libro siamo noi.
Noi, già.
I Radiohead con There
there sostengono che "We are accidents waitin' to happen".
La verità – una delle
tante, almeno – è che siamo vite raccontate in libri che nessuno
sa.
Sta a noi, anche se fino
all'ultimo non sapremo il titolo, rendere il racconto di una vita
degno di essere ricordato.
Forse è il ricordo
collettivo - la sconfitta sull'oblìo - la dimensione da raggiungere.
E se poi si vivranno periodi bidimensionali, pazienza..., in fondo
anche quando leggiamo abbiam pur sempre la scelta di saltare alcuni
capitoli.
Undici dimensioni,
quindi.
Eppure è la terza a fare
la differenza, una volta compresa.
È un po' com il poetico
Quinto Elemento: possiamo fingere di vivere appieno ma quella sorta
di sale che dà tridimensionalità al nostro essere è sempre e solo
il sentimento.
Amare, amarti, mi rende(rebbe)
3D.