venerdì 4 luglio 2014

LA CONQUISTA DELLA TERZA DIMENSIONE

Cade un vecchio Focus dalla piglia delle riviste da risistemare e leggo un articolo sulle stringhe.
Multidimensionalità. Da piccolino, il primo abbozzo di futuro fu quando vidi Nightmare 6 al cinema. In una scena la protagonista (o l'antagonista, visto che tifavo per mister Krueger) puntava la spada verso lo schermo, lo trapassava, mirava me
Uscii dal cinema immaginando che il prossimo passo sarebbe stato aggrapparsi al cane volante de La storia infinita, attraversare l'atmosfera con Navigator, sentire sulla pelle i circuiti di Terminator. Da allora credo siano trascorsi vent'anni, eppure quando sento pronunciare "Stringhe" mi guardo le scarpe, non penso alle dimensioni del multiverso.


Multiverso, tra l'altro, non più universo. C'è una teoria denominata M che racchiude tutti i principi sulle superstringhe (sapete no?, l'universo che si curva, il continuum spazio temporale di Ritorno al futuro, il salto in avanti, l'inconsistenza dei fotoni, l'espansione di alcune dimensioni dopo il big bang rispetto ad altre, la possibilità di universi con leggi fisiche differenti, cose così. Da nerd rinchiusi in cantina con un libro di chimica e un narghilè.) e paradossalmente non ritiene che la dimensione sia un concetto fondamentale. Giusto per complicare di più il tutto. 
Le classiche domande a cui solo uno scienziato o un oppiomane può rispondere – se si ha la fortuna di porgerle a uno scienziato mentre fuma, chissà, le risposte potrebbero anche rasentare il vero.
Se Mia Martini cantasse ora "Almeno tu nell'UNIverso" il titolo sarebbe meno poetico e più definitivo. Ma dando ascolto alle ultime teorie bisognerebbe eliminare il "se" (inteso come possibilità non concreta) quindi in un altro luogo parallelo Mia la starà cantando proprio ora.
«Lo dice la teoria quantistica» da un po' di tempo è la risposta ai grandi quesiti dell'umanità. 
Aria fritta, in fondo. 
Da bambino a catechismo chiedevo le cose e mi rispondevano coi dogmi, "Perché lo dice la Bibbia". 
Ora domando e mi dicon che è la meccanica quantistica. 
I bambini si riempiono la bocca di domande e gli adulti di non risposte, forse è per questo che le persone meno curiose crescendo prendono le cose per dati di fatto e perdono le sfumature che stanno al di là di ciò che appare. 
Com'è che diceva quell'aviatore? "L'essenziale è invisibile agli occhi."
"Anche il Bosone di Higgs", risponderebbero i geniacci del CERN.
Un po' come se da un lato gli scienziati volessero continuare le ricerche ma con un velo di ipocrisia, con addosso la maschera di Ponzio Pilato. 
Ma – per fortuna il Ma non l'hanno ancora cancellato dalle nostre coscienze – nel progresso, nella tecnologia spiccia, è la conquista della terza dimensione ad affascinarci, e quando si sente parlare di curve la mente torna ai dettagli di Scarlett Johansson. I film in 3D, per dire.
Lord of the Rings ha una dimensione in più rispetto a Star Wars ma questo dato non significa affatto che il primo sia migliore (anche se Jabba the Hutt in 3D sarei curioso di vederlo).
Qualcosa ancora non mi convince, in tutti questi sfarzosi kolossal da vedere alla Warner (o come caspita si chiama adesso); esco dal cinema con quel sapore in bocca tipo quando porto la lei di turno in un ristorante chic per scoprire che oltre a pareti dipinte in terra fiorentina e le sedie comode tutto il resto è un mix di attese, portate insipide e cameriere tutt'altro che attraenti. Adoro Vita di Pi (tratto da un romanzo, sarà un caso?) ma credo che anche senza alcuni effetti il risultato sarebbe stato altrettanto splendido. È ancora per fortuna la storia in sé a fare differenza.
Un po' come se l'effetto speciale abbia annichilito la trama rendendola superflua come il contorno di verdure lesse. 
Tant'è che pare nel cinema ci sia una sorta di bilanciamento delle dimensioni: la maggior parte dei film in 3D acquistano profondità e nello stesso tempo l'effetto speciale estremizzato elimina lo spessore del film. Come dire che i fuochi d'artificio durante il matrimonio non renderanno la storia più duratura e avvincente se prima / dietro / sotto non ci sono altri tipi di affinità.
Forse è per questo che esiste il termine "vita piatta".
In effetti quando combiniamo qualcosa di eccitante aumentiamo la percezione dei sensi più che delle dimensioni (che ne so, ricordo il gusto dell'aria in bocca mentre rimbalzavo col bungee jumpin', per dirne una.)
Eppure tutta questa tecnologia è in ritardo di secoli rispetto ai narratori di storie. Loro sì, che ti sbalzano in altri mondi manco fossimo particelle accelerate.
Il buon scrittore dovrebbe creare storie in grado di rendere il lettore uno yo-yo.
Se si ha la fortuna di imbattersi in un romanzo degno, lettore e autore toccano con mano il piacere psichedelico della sinestesia.
Sentiamo il rumore delle astronavi in atterraggio tra i romanzi di Asimov, percepiamo l'odore di marcio tra i mercati ne Il profumo di Suskind, ci togliamo da dosso il sale dopo aver letto Il vecchio e il mare, visualizziamo le periferie messicane tra le parole di Arriaga, cose così.
Si dice di uno scrittore bravo: "Scrive da Dio", anche se non mi risulta che Dio abbia mai scritto nulla. Per quanto ne so potrebbe pure essere – dandone per scontata l'esistenza, intendo – analfabeta.
Comunque.
Lo scrittore, delle dimensioni, se ne frega; il suo compito è creare frasi, non progetti su Autocad.
E quando una frase passa dall'essere letta all'essere assorbita?
Una buona frase dovrebbe essere soffice come una persona che durante lo shopping domenicale mentre osserva le vetrine si preoccupa di non calpestare le ombre dei passanti; inoltre deve essere altrettanto implacabile, deve azzannare la giugulare del soggetto in questione.
Insomma, una buona frase – e di conseguenza un buon scrittore – è Luis Suarez vestito a festa.


Da un po' di tempo invece il pubblico esige romanzi bidimensionali, sfumature pop porno, investigatori strafighi, i dolori del Giovane Pisellino, le pagine come un mucchio di parole, u.s.a. e getta, slogan da ricopiare sulla Smemo.
Di tutti i sensi, abbiamo innalzato la vista al primo posto.
La conseguenza è che siamo invasi da romanzi "rifacimenti di", da ascoltare con audiolibro mentre si stira o si è fermi in coda, incollati al clacson.
Non c'è mai tempo per leggere. Eppure se si inizia un romanzo avvincente, il tempo scompare.
Lasci "Still life with Woodpecker" a metà prima di andare al lavoro e magari due ore dopo pensi "Cosa starà combinando ora la Principessa Leigh-Cherie?"
È lì il Grande Segreto, la Dimensione Definitiva: un buon libro apre la porta alla percezione di un mondo che è dentro di noi ed è al di fuori di tutto, un luogo nella mente dove le stronzate da meccanica quantistica non vengono menzionate eppure semplicemente esistono.
Un buon libro siamo noi.
Noi, già.
I Radiohead con There there sostengono che "We are accidents waitin' to happen".


La verità – una delle tante, almeno – è che siamo vite raccontate in libri che nessuno sa.
Sta a noi, anche se fino all'ultimo non sapremo il titolo, rendere il racconto di una vita degno di essere ricordato.
Forse è il ricordo collettivo - la sconfitta sull'oblìo - la dimensione da raggiungere. E se poi si vivranno periodi bidimensionali, pazienza..., in fondo anche quando leggiamo abbiam pur sempre la scelta di saltare alcuni capitoli.
Undici dimensioni, quindi.
Eppure è la terza a fare la differenza, una volta compresa.
È un po' com il poetico Quinto Elemento: possiamo fingere di vivere appieno ma quella sorta di sale che dà tridimensionalità al nostro essere è sempre e solo il sentimento.
Amare, amarti, mi rende(rebbe) 3D.