martedì 12 agosto 2014

PLOT MACHINE, #ILMARE E L’ELENCO PERDUTO.

 
Quindi, da buon uroboro (o forse oroboro? Comunque, quella cosa lì), i cumulonembi estivi mi hanno rovesciato addosso gocce di pioggia e mestolate di apatia, tanto da scivolare al punto zero. Ma quel punto zero che è dentro di noi, un po’ differente dalla matematica. È più la concezione di aver fatto involontariamente un passo indietro pur mantenendo lo sguardo in avanti, credo che su questo modo di vivere molti coreografi abbiano ideato decine di balli estivi (un passo in avanti, un passo in avanti, un passo indietro, un passo in avanti e hop!, unduettrèquattro e giro…)
Quindi (e due) dopo un paio di settimane e chiedermi come poter scrollare il tutto, arriva un messaggio dalla Giorgia su una giornata aggratis all’I-Scream sponsorizzata dalla Holden, una di quelle folgorazioni che ti fan dimenticare i “perché” e li sostituiscono coi “perché no?”
A lezione, dunque. E son stato pure fortunato, che a spiegare c’era la Lucia, davvero grandiosa! Voglio dire: rendere interessante già dal principio l’Ode al pomodoro non rientra tra le cose più semplici, perlomeno per me. È stata una lezione clandestina, di occhiate invisibili e gesti che si sono appiccicati a mò di post-it senza chiedere permesso –come la maggior parte delle cose belle e significative, in fondo.
C’erano foglie accartocciate, brividi a tradimento e tanti tanti elenchi sinceri, un riordino mentale sulle cose che ognuno di noi ha, o quantomeno crede di avere, da dire.
Poi, il caso.
Libromania - sì sì, la casa editrice dell’ebook, casomai qualcuno ancora non lo sapesse... - ha parlato di un concorso su Rai Radio1 di nome Plot Machine, dicendo che per partecipare bastava inoltrare un racconto breve con a tema i social network o la radio.
Senza pensarci – e d’altronde col mio telefonino che continua a non chiamarsi smartphone la scelta è stata ovvia – ho provato a sfruttare l’onda lunga made in Holden ampliando un punto dell’elenco di Lucia. Così, anche se per via di una foglia fuori stagione ho continuato a pensare a tutt’altro, è uscito dal punto 15 quello che ora i più chiamano “Il racconto di Riccardino.” Tra l’altro nelle votazioni libromania mi ha sostenuto, son dettagli che fanno molto piacere visto che nel loro progetto ci credo.
E niente, per ridere ho pensato di chiudere il cerchio (sempre da buon u/oroboro) e rendere il racconto in stile Salinger, senza pretese.
Invece: mi hanno telefonato dalla radio, alle 5 di pomeriggio, con chiamata anonima –e ho pure risposto! L'hanno letto in diretta, con una voce di quelle che rimangono, è stata una soddisfazione, davvero. Alla fine per motivi sconosciuti son arrivato secondo nazionale e non so come prendere il risultato, ma un po’ tutti dicono “è un ottimo piazzamento” quindi (e tre) credo sia andata bene.
"Meglio che primo”: di solito rispondo così.
Il programma è stato divertente, in più l'assemblamento in una storia di vari tweet in tempo reale è stata affidata a Chiara Marchelli, e se qualcuno ha tempo di leggere la sua biografia, parla per lei.
Mi sembra sempre una ladrata vedere il nome in una classifica, non so come spiegare. Sono abituato alle stroncature sul romanzo, non ai complimenti. E iniziavo ad abituarmici, ecco; ci saranno sempre le critiche, per fortuna. 
Scrivere vuol anche dire sputare i propri sentimenti su un foglio, e quanto orribile sarebbe scoprirli condivisi da tutti? L’opinione contraria è un sintomo che non si sta scrivendo qualcosa di ovvio, se non altro. Poi sta allo scrittore distinguere le critiche al testo da quelle alla persona, ma questa è un’altra storia.
Di solito quando ho un libro sottomano e mi chiedono il nome dell’autore, le risposte sono
A) ah sì lui mi piace, ho letto qualcosa
B) ma chi? Quello? Che schifo! Pensa che una volta ha scritto “blablabla” e diceva che “blablabla”, per non parlare di quella volta in tv quando ha detto che “blablabla…
Sì, passa il tempo ma “Chi disprezza compra” resta sul podio degli intramontabili. Sono a metà dell’opera, mi affido alle strategie di libromania per il “compra”. 
(Nel dubbio, il link Per Adesso No. è lì ad aspettarti) :-)
Fa strano abbandonare un romanzo quando ancora non lo si vede camminare da solo, ma la Musa è stronza e come questo tempaccio estivo se ne frega dei programmi altrui.
Cooomunque, il racconto era appunto scritto pensando ad altro, non capisco come possano averlo scelto. Ma liuk!, non farti fisime e raccogli, invece di sparare frasi da fighetto stile “Io non miro al numero uno. Il mio obiettivo è battere il numero uno”


Buon periodo, dunque. E cosa fa l’idiota quando le cose iniziano a migliorare?
Ho dato un colpo alla Bussola delle Buone Intenzioni fino a quando l’ago si è spostato da “Scrittura” a “Musica”.
Non so, ho l’idea che sia il momento di stoppare il nuovo romanzo; visto che stavo trattando di autunno, lacrime e foglie che ingialliscono, gli ultimi avvenimenti casuali mi hanno un attimo distolto l’attenzione, mettiamola così. Le coincidenze esistono in ferrovia, per quanto ne so.
Lascio quel centinaio di pagine a svolazzarmi in testa ricomponendosi come preferiscono, che tanto quando dico “smetto di scrivere” ho la credibilità dei tossici sotto casa.
E poi il primo romanzo è stata una necessità, col secondo vorrei ragionarci su. Un finto stop, ecco. Solo per il gusto di non creare aspettative a me stesso. 
Ho tolto i chiodi alla Musa e ora aspetto che smetta di svolazzarmi intorno per ripicca, devo avere pazienza e riannodare con cura il retino.
È che negli ultimi tempi i sogni di quando mi inciampavo tra i cavi degli amplificatori sul palco si stanno rifacendo vivi. Entrano e non chiedono ‘per favore’, o se c’è qualche altro sogno in composizione.
Trovo che suonare sia più solitario rispetto alla scrittura, anche perché la chitarra la suono in casa mentre il moleskine lo imbratto al bar.
Un altro passo indietro con sguardo in avanti, a pensarci ora.
La cosa buffa è che in questi dieci anni è cambiato un po’ tutto, per quanto mi riguarda: ricordo di non aver mai partecipato, per pigrizia, a un soundcheck. O il solito “sì sì” quando il fonico di turno mi chiedeva se i suoni erano bilanciati. Volevo solo salire sul palco, rivestirmi di una nuova personalità e tanti saluti. Adesso che ho in testa un progetto invece dovrò giostrarmi da solo e non ho idea di come muovermi.
Un altro mondo, sì.
M’è capitato di vedere Neil Young in concerto, un paio di settimane fa. Credo lui abbia la risposta.
Una di sicuro la possiede: leggendo la sua autobiografia, ho sottolineato la frase “Se una cosa non è fantastica, lascia perdere”.
È difficile ma vorrei tramutarla in realtà.
Vederlo suonare col sorriso, a sessantanove anni, di per sé è già una di quelle risposte a prescindere. Lo si poteva fotografare in primo piano e spedire il tutto alla Perugina, con scritto “Un’espressione vale più di mille parole”


Comunque. Il progetto è in fase embrionale, diciamo. Vorrei rivestire di nuovo alcuni brani della mia vecchia vita, credo che una spolverata decisa li possa far rivivere. Ma è la parte nuova a elettrizzarmi, per quanto nebulosa.
Che suonare e scrivere testi di per sé è una stupidaggine. Cioè, se una cosa la sa fare pure l’Apicella di turno, non vedo chissà quali problemi insormontabili.
È che vorrei… insomma, qualcuno ha mai letto Oceano Mare?
Ricordate il pittore, Plasson, che dipingeva il mare con il mare?
Ecco, vorrei un qualcosa del genere. A livello di testo, o a livello di ascolto per chi non fa caso alle parole. Credo sia complicato, o forse lo sarà fin quando crederò che lo sia davvero.
Creare canzoni che abbiano una storia, che siano esse stesse un racconto breve, accompagnate da suoni adatti a rimandare l’ascoltatore nell’immaginario della vicenda. Come per la parte psichedelica di Whole lotta love, dove chiudi gli occhi e sei trasportato in un tunnel stile pallina da flipper.
E nello stesso tempo non ho intenzione di creare cose inascoltabili o brani monostrofa alla Dylan/De Andrè (e chi ci riuscirebbe più, tra l’altro…).
Non so, forse stare sul filo tra il cantautore con aspirazioni punk (ma che ascolta in privato i primi dischi di Ruggeri) e i Baustelle senza barba in prima fila al concerto dei Sigur Ros. Creare, per quanto possibile, un nuovo tipo di sonorità. O un altro punto di vista della musica, che a conti fatti è un po’ quello che provo a fare con le parole.
Dipingere il mare con il mare, e con un buon amplificatore resistente all’acqua.
In fondo dicono che per scrivere un romanzo ci si concentra, da buon pugile che fa a botte con le parole, alla resistenza sui dodici round. Dicono anche che il racconto breve dovrebbe stendere il lettore per KO.
Ecco, scrivendo canzoni/storie vorrei puntare a trasformarle in sali per rinvenire.
Anche se l’essermi comprato un programma (Ableton) per registrare tutto da solo manda in panico, mi ci abituerò. Al panico, intendo. Per qualsiasi cosa siamo accerchiati da eserciti di bipedi che ne sanno più, tanto vale approfittarne.
Idee nuove, quindi (e quattro).
Al solito, ho ripensato alla lezione Holden e agli elenchi, dicendomi “E perché non sfruttarlo? È lì.”
Così ne ho preso uno a caso e senza accorgermene la Musa ha lasciato qualche scaglia sul retino, come incoraggiamento (stile il 6- a scuola dopo una sfilza di insufficienze). Ed è uscito un testo, una canzone già pronta per trequarti, dal titolo #ilmare.
Tanto per tornare a Plasson e il suo dipinto.
È la storia di Jenny, una ragazza che passa la vita a osservare gli altri, dissolvendosi nel riparo di una finestra. E si crea una campana di vetro anche quando esce, quando vede il mare, fino al punto di non rendersi conto che la casa in cui abita è crollata.
La parte che mi interessa di più è strumentale e inizia quando la protagonista preferisce aggrapparsi alla boa invece di immergersi a guardare le meraviglie sott’acqua.
Pensavo al la minore ripetuto in loop per rimandare l’ascoltatore alle onde e a un assolo lungo e semi ipnotico che profumi di sabbia bollente, alghe, della finta libertà offerta su cauzione dal pedalò. Cose così. Ci provo, almeno.
Come al solito, è tutta questione di praticità, come per l’amour.
Per dire: avete presente le farfalle nello stomaco?
È dalla lezione degli elenchi che ci penso (sempre per via della foglia eccetera eccetera)
Credo sia una questione di cura, alla base del successo. Ok, detto così fa molto Piccolo Principe con la Rosa, ma all’incirca il significato è quello.
All’inizio le farfalle iniziano a svolazzarti nello stomaco solleticandolo. La sensazione è piacevole, i colori più vividi, le emozioni acquistano nuove forme, pure la sveglia mattutina ha un ché di armonico. E poi, che accade se lasciamo le farfalle al loro destino, senza neppure un trespolo per riposare? Perdono l’equilibrio, poverette. Il solletico si trasforma in eritema, senza una cura più o meno costante.
Le farfalle precipitano ineluttabilmente, bam bam bam dritte nell’inferno dei succhi gastrici.
E se non si curano i sentimenti, le uniche testimonianze degli attimi di felicità saranno sempre e comunque gli attacchi di acidità allo stomaco.
Quindi (e cinque) tempo al tempo, trespolo innaffiatoio moleskine e pazienza sotto braccio, vediamo l’evolversi.
E tanti belli elenchi da trasformare in qualcosa di concreto, che di cose da raccontare ne abbiamo tutti più o meno consapevolmente.
C’è così tanto, là fuori, pronto a essere colto.
Dovrei parlarne pure io, prima o poi.

"Di lei che rigira una foglia secca fissando un foglio bianco.
Del riflesso di una lacrima quando te l’ho raccolta sul dorso della mano.
Del cortometraggio di Bruce Springsteen che ho visto solo per metà al TG.
Del tizio che nasconde soldi nelle spiagge californiane.
Del tavolo che traballa quando scrivo.
Della vita che traballa quando non scrivo.
Del non distinguere l’indaco guardando l’arcobaleno.
Di Zooey che mi porta un piccione sul letto una volta a settimana.
Di quando guardo gli altri scrivere e mi viene voglia di scappare.
Del parco giochi sotto casa pieno d’erbacce, di come i bambini le strappano per tirarsele addosso.
Delle musichette in sala d’attesa dal dentista.
Della Croce del Sud, di quanto sia alienante notare costellazioni non tue quando oltrepassi l’equatore.
Del divenire invisibile quando sporgi lo scontrino del caffè alle commesse dell’Autogrill.
Di quanto sia bello il termine Mellifluo prima di leggerne il significato.
Di Riccardo che lavora con me e ogni tanto sorride da solo e quando chiedo “Che c’è” non sa rispondere.
Di quanto sia tempo perso amare una persona quando ti corrisponde.
Dei finali incomprensibili di certi romanzi.
Delle antenne delle lumache.
Del malditesta che mi prende se so di dover guidare tanto.
Delle voci degli altri quando cammino con l’iPod spento.
Dell’accordatura di Neil Young usata in Cortez the killer.
Della tonalità pastello nei vestiti dei gerarchi nazisti.
Del finale alternativo di Breakin’ bad.
Del rifugio che credevo segreto quando scappavo dall’oratorio e di come mi sento scemo ogni volta che sento le voci di altri bambini provenire da lì.
Della stupidità del “Ora che sei maggiorenne…”
Dei riflessi del marmo rosa nel Campanile di Giotto.
Della ring road islandese.
Della ragazza che annega nei pensieri degli altri.
Del ragazzo che dice di non avere un senso mentre guarda un documentario sull’ornitorinco.
Di quando ti dicono “La vita è una ruota che gira” e sentendoti quella di scorta domandi al nulla dove hai dimenticato le chiavi del bagagliaio.
Del dare per scontato che gli altri siano migliori, senza mai però voler scambiare un tuo giorno con uno loro. Mai.
Del pugile che a metà combattimento si rende conto di non reggere altri round e la consapevolezza lo libera dal dolore.
Di quanto sia stupido stilare elenchi, se mentre li scrivo tu non sei accanto a me."

[…]

Ecco, questo è quanto. E giusto per smentirmi, ho come l’impressione che domani poserò la chitarra per riprendere il romanzo nuovo. Di posare il romanzo nuovo per farmi furbo, beh, non è ancora il momento, ecco.
I capelli bianchi iniziano dal cuore, ma perlomeno finché non li scoprirò in testa potrò fingere che le forze per realizzare i sogni siano più che sufficienti.
“Le cose belle sono proprio dietro l’angolo!”, sentenzia sardonico l’u/oroboro.

ENJOY