((Ero
in cerca di risposte, al solito, che viaggiare limitandosi a spostare
la propria massa da un luogo all'altro è stupido e controproducente;
carico di aspettative, più si avvicinava la partenza e più le
vocine mi dicevano che no, non avrei trovato nulla al di fuori di
ulteriori domande. E invece. Ta-daan!, puff!, ...l'ho trovata.
L'immagine definitiva. Tra i ciliegi, per giunta. Tra i ciliegi, moi!
La vita è buffa, quando ti si rivela.))
01. GEISHA.
Camminare
per Kyoto e dimenticarsi, così, semplicemente.
Nella
via di Pontocho – una buona mezzora fermo immobile in attesa sotto
la pioggia all'entrata di un vicoletto, il vicoletto delle
sale da thé - capita di vedere quelle che prima della partenza avrei
definito geishe ma sbirciando tra i vari appunti scopro chiamarsi
maiko (giusto per fingere di essermi documentato).
Geisha
è un termine che comprende grazia bellezza misura nei gesti
annullamento dell'usura del tempo candore e desiderio di innamorarsi,
in ordine sparso –pallore artefatto à la Robert Smith escluso, of
course.
C'è
un qualcosa che m'inquieta quando le fisso; un po' come se, come se
sotto quel cerone ce ne fosse un altro e poi un altro ancora,
infiniti strati di faccedapoker che nascondono pensieri troppo
criptati per intuirne anche solo un indizio. Roba che ti vien voglia
di prendere uno straccetto bagnato e sfregarlo forte, se solo non
fosse blasfemia.
Passano,
camminano, eppure giurerei di non aver visto una singola orma.
Fluttuano, perlopiù, loro e quei ghigni repressi da maliziosi joker
in vacanza. L'impressione è di trovarmi di fronte a entità
invulnerabili, almeno fino a quando le loro labbra non si lasceranno
comprendere.
Certo,
il sorriso giapponese va interpretato, eppure in quello della geisha
non ci si può che arrendere. Ha un accenno esplosivo, è
l'evoluzione dei batteri coriacei che sono sopravvissuti all'atomica,
è la spinta necessaria per dire «La vita è bella e merita di
essere vissuta.»
Se le risposte risiedono nei dettagli, la geisha è lo scrigno della conoscenza.
Accanto,
donne che passeggiano in kimono, incuranti delle religioni che sparse
per il globo tendono a disintegrare la bellezza.
Kyoto
è donna, punto.
Per
questo sopravvive.
02. TORII
ROSSI
I
torii rossi (che poi va beh proprio rossi non appaiono) sono gli
ennesimi portali che ho incontrato; migliaia di entrate consecutive
modellate come un'unica galleria verso il nirvana, infinite
variazioni di passaggio dal percorso principale che alla fine portano
alla vetta – al compimento del proprio essere – e da lì
ridiscendono agli inferi del declino.
Lo
shintoismo giapponese mi si presenta così, un insieme di scalini e
passaggi verso altre dimensioni; così come gli stupa visitati in
Nepal, anche questa religione orientale non costringe i fedeli al
rinchiudersi all'interno di costruzioni e la cosa mi garba parecchio.
Da profano certe attitudini shintoiste mi appaiono affini alle
odierne pratiche wicca ma non avendo ancora approfondito l'argomento
resto in silenzio di fronte ai torii e mi godo il paesaggio, che male
non fa.
Dicevo:
quando ci si imbatte nelle biforcazioni principali del percorso
appaiono spesso due volpi, solenni come angeli custodi. Lì per lì
non è che ci ho fatto troppo caso, mi son limitato giusto a
fotografarle in segno di sfida prima di continuare la salita, poi è
scattato il solito qualcosachenonso e l'impressione di non essere
solo ha iniziato a raffreddare le folate di vento. Scalino dopo
scalino, ho avvertito l'occhiata rapida della volpe. Giuro. Non avevo
bisogno di girarmi a controllare, non l'avrei vista e non mi sentivo
pronto per l'eventuale incontro: troppi manga negli anni passati,
mannaggia, oramai la volpe (se non ricordo male in giapponese si dice
kitsune) la collego a Ushio e Tora. Fatto sta che mi osservava, e
allora: cosa avrà pensato di me, un trentaquattrenne imbacuccato nel
k-way con un taccuino pieno di punti interrogativi in una mano e la
macchina fotografica nell'altra? Cosa, non è dato sapere. Non
ancora. A pensarci adesso, quei momenti sono stati il benvenuto in
Japan, una sorta di prova iniziatica prima di incontrare il corvo sul
ciliegio. In fondo nello shintoismo la volpe è di buon auspicio –ma
questo l'ho scoperto dopo.
Nel dubbio ho
continuato a macinare passi ancora per un po' e non mi è dispiaciuto, al
momento della discesa, realizzare di aver scordato i passaggi. Era
come ripercorrere a casaccio i momenti della vita, scalino dopo
scalino. Ogni cosa attorno, compresi gli ideogrammi impressi sui
torii di cui ancora adesso ignoro i significati (dubito che comunque
significassero "Scemo chi legge" o "Tua madre
l'affitta su Amazon") acquistava una valenza da "Sei
tutt'uno col pianeta", quel tipo di imprescindibile pace
interiore che ho già provato in altre situazioni – ricordo
qualcosa di simile passeggiando per Falstaff o guardando le stelle al
Maasai Mara, per dirne due al brucio.
Fermarmi
a guardare il paesaggio, recuperare il tempo saltando gli scalini,
girarmi ad aspettare l'arrivo di un'altra persona e accelerare il
passo per raggiungerne una differente, una volta di più i torii sono
comparsi oggi per un motivo ben preciso, un monito, una lanterna a
rischiarare le mie zone buie.
E
lo spirito della volpe se ne stava nell'ombra a ricordarmi che
l'obiettivo, in fondo, non è mai così importante. Neppure il
cammino è indispensabile, checché sia un concetto da
newageveganonaturacazzimazzi&palazzi molto in voga negli ultimi
anni, uno di quegli argomenti stile aria fritta che se ben trattati
durante i sabati sera alcolici con qualche ragazzetta indie finisce
pure che si fa un figurone e poi magari chissà.
Comunque,
dicevo. A conti fatti, neppure il singolo passo – o il primo! - ha
chissà quale importanza, ai fini del destino. Ma l'intenzione,
quella sì fa la differenza. Il volere compiere un qualcosa, l'idea,
l'utopia, è ciò che ci spinge a sopravvivere in una vita di cui
sappiamo sempre troppo o troppo poco. Tutto è energia, e l'energia nasce
dall'idea che abbiamo di essa, esattamente come tu sei bella nella
misura in cui io ti idealizzo e io esisto quando ciò che sta attorno
realizza la mia multidimensionalità.
E
a percorso inverso – "gli altri esistono perché io lo voglio"
– la vita stessa, l'odio, l'amore, ogni cosa perde valenza.
Quel
che rimane in ogni caso è una volpe, o chi per essa, che ci osserva
mimetizzata tra i torii rossi delle nostre scelte, i portali che
inconsciamente attraversiamo durante l'esistenza. Lo shintoismo made
in Japan è un po' tutto qua: non ha bisogno di essere studiato, esso
è.
(Torii
rossi per teeeeee ho comprato staseeeraaaa..)