sabato 18 aprile 2015

TOKYO KYOTO e altri anagrammi (parte 1 di 3)

 
((Ero in cerca di risposte, al solito, che viaggiare limitandosi a spostare la propria massa da un luogo all'altro è stupido e controproducente; carico di aspettative, più si avvicinava la partenza e più le vocine mi dicevano che no, non avrei trovato nulla al di fuori di ulteriori domande. E invece. Ta-daan!, puff!, ...l'ho trovata. L'immagine definitiva. Tra i ciliegi, per giunta. Tra i ciliegi, moi! La vita è buffa, quando ti si rivela.))


01. GEISHA.



Camminare per Kyoto e dimenticarsi, così, semplicemente.
Nella via di Pontocho – una buona mezzora fermo immobile in attesa sotto la pioggia all'entrata di un vicoletto, il vicoletto delle sale da thé - capita di vedere quelle che prima della partenza avrei definito geishe ma sbirciando tra i vari appunti scopro chiamarsi maiko (giusto per fingere di essermi documentato).
Geisha è un termine che comprende grazia bellezza misura nei gesti annullamento dell'usura del tempo candore e desiderio di innamorarsi, in ordine sparso –pallore artefatto à la Robert Smith escluso, of course.
C'è un qualcosa che m'inquieta quando le fisso; un po' come se, come se sotto quel cerone ce ne fosse un altro e poi un altro ancora, infiniti strati di faccedapoker che nascondono pensieri troppo criptati per intuirne anche solo un indizio. Roba che ti vien voglia di prendere uno straccetto bagnato e sfregarlo forte, se solo non fosse blasfemia.
Passano, camminano, eppure giurerei di non aver visto una singola orma. Fluttuano, perlopiù, loro e quei ghigni repressi da maliziosi joker in vacanza. L'impressione è di trovarmi di fronte a entità invulnerabili, almeno fino a quando le loro labbra non si lasceranno comprendere.
Certo, il sorriso giapponese va interpretato, eppure in quello della geisha non ci si può che arrendere. Ha un accenno esplosivo, è l'evoluzione dei batteri coriacei che sono sopravvissuti all'atomica, è la spinta necessaria per dire «La vita è bella e merita di essere vissuta.» 
Se le risposte risiedono nei dettagli, la geisha è lo scrigno della conoscenza.
Accanto, donne che passeggiano in kimono, incuranti delle religioni che sparse per il globo tendono a disintegrare la bellezza.



  Kyoto è donna, punto.


Per questo sopravvive.



02. TORII ROSSI

I torii rossi (che poi va beh proprio rossi non appaiono) sono gli ennesimi portali che ho incontrato; migliaia di entrate consecutive modellate come un'unica galleria verso il nirvana, infinite variazioni di passaggio dal percorso principale che alla fine portano alla vetta – al compimento del proprio essere – e da lì ridiscendono agli inferi del declino.


Lo shintoismo giapponese mi si presenta così, un insieme di scalini e passaggi verso altre dimensioni; così come gli stupa visitati in Nepal, anche questa religione orientale non costringe i fedeli al rinchiudersi all'interno di costruzioni e la cosa mi garba parecchio. Da profano certe attitudini shintoiste mi appaiono affini alle odierne pratiche wicca ma non avendo ancora approfondito l'argomento resto in silenzio di fronte ai torii e mi godo il paesaggio, che male non fa.



Dicevo: quando ci si imbatte nelle biforcazioni principali del percorso appaiono spesso due volpi, solenni come angeli custodi. Lì per lì non è che ci ho fatto troppo caso, mi son limitato giusto a fotografarle in segno di sfida prima di continuare la salita, poi è scattato il solito qualcosachenonso e l'impressione di non essere solo ha iniziato a raffreddare le folate di vento. Scalino dopo scalino, ho avvertito l'occhiata rapida della volpe. Giuro. Non avevo bisogno di girarmi a controllare, non l'avrei vista e non mi sentivo pronto per l'eventuale incontro: troppi manga negli anni passati, mannaggia, oramai la volpe (se non ricordo male in giapponese si dice kitsune) la collego a Ushio e Tora. Fatto sta che mi osservava, e allora: cosa avrà pensato di me, un trentaquattrenne imbacuccato nel k-way con un taccuino pieno di punti interrogativi in una mano e la macchina fotografica nell'altra? Cosa, non è dato sapere. Non ancora. A pensarci adesso, quei momenti sono stati il benvenuto in Japan, una sorta di prova iniziatica prima di incontrare il corvo sul ciliegio. In fondo nello shintoismo la volpe è di buon auspicio –ma questo l'ho scoperto dopo.
Nel dubbio ho continuato a macinare passi ancora per un po' e non mi è dispiaciuto, al momento della discesa, realizzare di aver scordato i passaggi. Era come ripercorrere a casaccio i momenti della vita, scalino dopo scalino. Ogni cosa attorno, compresi gli ideogrammi impressi sui torii di cui ancora adesso ignoro i significati (dubito che comunque significassero "Scemo chi legge" o "Tua madre l'affitta su Amazon") acquistava una valenza da "Sei tutt'uno col pianeta", quel tipo di imprescindibile pace interiore che ho già provato in altre situazioni – ricordo qualcosa di simile passeggiando per Falstaff o guardando le stelle al Maasai Mara, per dirne due al brucio. 

 
Fermarmi a guardare il paesaggio, recuperare il tempo saltando gli scalini, girarmi ad aspettare l'arrivo di un'altra persona e accelerare il passo per raggiungerne una differente, una volta di più i torii sono comparsi oggi per un motivo ben preciso, un monito, una lanterna a rischiarare le mie zone buie.
E lo spirito della volpe se ne stava nell'ombra a ricordarmi che l'obiettivo, in fondo, non è mai così importante. Neppure il cammino è indispensabile, checché sia un concetto da newageveganonaturacazzimazzi&palazzi molto in voga negli ultimi anni, uno di quegli argomenti stile aria fritta che se ben trattati durante i sabati sera alcolici con qualche ragazzetta indie finisce pure che si fa un figurone e poi magari chissà.
Comunque, dicevo. A conti fatti, neppure il singolo passo – o il primo! - ha chissà quale importanza, ai fini del destino. Ma l'intenzione, quella sì fa la differenza. Il volere compiere un qualcosa, l'idea, l'utopia, è ciò che ci spinge a sopravvivere in una vita di cui sappiamo sempre troppo o troppo poco. Tutto è energia, e l'energia nasce dall'idea che abbiamo di essa, esattamente come tu sei bella nella misura in cui io ti idealizzo e io esisto quando ciò che sta attorno realizza la mia multidimensionalità.
E a percorso inverso – "gli altri esistono perché io lo voglio" – la vita stessa, l'odio, l'amore, ogni cosa perde valenza.
Quel che rimane in ogni caso è una volpe, o chi per essa, che ci osserva mimetizzata tra i torii rossi delle nostre scelte, i portali che inconsciamente attraversiamo durante l'esistenza. Lo shintoismo made in Japan è un po' tutto qua: non ha bisogno di essere studiato, esso è.

(Torii rossi per teeeeee ho comprato staseeeraaaa..)


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