giovedì 26 marzo 2015

YEN NE VA PLUS.

Da almeno un mese il risveglio mi agita.
Sai no: l’amaro in bocca, le labbra spaccate, un senso di boh nel ricordare almeno un sogno, le ferite provocate da Zooey durante il dormiveglia che non si rimarginano in fretta, le stesse montagne dietro la finestra, cose così.
Su internet ho letto che potrebbe essere rabbia, ma al di là della concezione poetica da nipotino di Palahniuk della rabbia in sé, non credo sia questa la causa. Tremarella, piuttosto. Sindrome da Conto alla Rovescia. 
Dopo anni di viaggi – amori - concerti attivi&passivi - romanzi letti&scritti - addii e baci rubati sotto la pioggia, a torto mi sento un po’ come l’alpinista che intravede la cima, il Re del Nord che conquista la barriera, Gunma Akagi che supera l’ombra. Il paradosso è che al solito la fifa mi riempie di energia - tra l'altro è primavera e gli ormoni sono mentos & coca cola a braccetto – ed è imbarazzante far discorsi seriosi sulla legge di Planck o i testi dei baustelle o lo shiatsu, atteggiarsi da artista sorseggiando cocktail con lei e nel mentre pensare al sapore che potrebbero avere le sue labbra. Ma succede, that’s life.
Mi aspetta il viaggio che ho sempre sognato (e con sempre intendo 'già dal periodo delle elementari', duetre vite fa oramai..) e invece di godermi l’attesa o le situazioni da manga che mi potrebbero capitare le uniche domande che mi gironzolano in testa sono una sfilza di fastidiosissimi “e poi?”.
E poi: e se mi svegliassi al mattino seguente, quello dopo aver completato ‘il quadro’ dei viaggi che sentivo necessari, scoprendo di non avere chiodi pareti o una cornice decente per appendere i ricordi nella memoria? E poi: appenderli per fare cosa? E poi: Per contare i granelli di polvere che si accumuleranno? E poi: a cosa serve realizzare i sogni? E poi: quanto sono originali i desideri? E poi: dormi liuk, va’, è meglio.


Certo, posso continuare a trascorrere la pausa pranzo al laghetto con la compagnia di un taccuino e una ventina di anatre che in fin dei conti fa tanto giovane Holden, però insomma!, ho trentaquattro anni e le anatre non sbiadiscono, i sogni, quelli sì.
Andrò laggiù (wow wow wow wow non mi sembra vero!), a completare una ricerca iniziata otto anni fa sulla ring road islandese. Fremo, sìssì. Me l'ero promesso: apri cuore e anima a ciò che sta oltre la tua valle e quando sarà il momento, prima di sistemarti, cammina per i sentieri di filosofi e samurai.
A breve i ciliegi fioriranno, ne vedrò a centinaia!, sarà una battaglia silenziosa tra liuk e la banda dei diecimila petali –e a ognuno darò un nome, perché in fondo a cosa serve accumulare esperienza se poi la si tiene nel cassetto quando serve? 
Mischierò le sfumature del rosa col sangue rappreso per le strade di Kathmandu. 
Col mascara colante di quel ghepardo kenyota che sorrideva ai cuccioli. 
Col rosso aragosta dell’alba alla Monument Valley. 
Col bianco sporco dell’intonaco sulle vecchie pareti holdeniane. 
Le renderò un pizzico malinconiche come le gambe aperte di una mia ex. 
Saranno imperscrutabili come l’inchiostro che mi colava fino al gomito mentre scrivevo il capitolo dei dialoghi in Per Adesso No
Saranno abbaglianti come le luci che mi escludevano l’orizzonte mentre suonavo sul palco dell’Hiroshima. 
Blu ghiaccio come la meth di Walter White e la mia t shirt presa all'ultimo concerto di Neil Young.
Cose così.
Il desiderio è di tornare a casa con un restyling di me meno tendente all’infelicità; certo io e le aspettative non andiam d’accordo ma tant’è, anche la sfortuna non è infallibile. 
Cancellare con la gomma pane i puntini sulle i che ho continuato a mettere sui sentimenti durante gli anni. 
Dire che “Ok liuk hai tenuto fede alla promessa che ti eri fatto allora, in fondo non sei poi così una cattiva persona. Se non avessi avuto il coraggio di intraprendere quest'ultimo viaggio, un giorno ti saresti trovato a bofonchiare giustificazioni fittizie sulle tue mancanze e la tua ipotetica futurissima figlia avrebbe intuito che dietro alle tante delicate parole da scrittore si nasconde un uomo, un padre, che non ha avuto il coraggio di affrontare il suo sogno. E sì, finirebbe col provare compassione. E si allontanerà. L'estremo oriente, il traguardo, lo dovevi a te stesso. Sorridi ora, lei, lei sarà fiera di te.”


Mancano pochi giorni eppure è come se fossi già laggiù (il viaggio inizia prima della partenza, diceva qualcuno). Sto a un passo dal fermarmi a ruminare il passato e iniziare ad accettare il fatto che non sono più un ragazzino. Brrrrr. Tornerò con un flacone di super attack & buone intenzioni, l’ennesimo liuk 2.0 sempre più consapevole di un qualcosa che non so (il Nepal mi ha insegnato quanto sia necessaria l’entropia dell’anima, senza però spiegarmi il significato di entropia e anima…) e affascinante come ciò che sta per sfiorire. 
Chissà cosa succederà: ogni viaggio è un’incognita che mi aiuta a convivere con le mie storture, anche se a causa loro la Musa mi ha liquidato da quasi un anno oramai. 
Fa male, ma da buon lemming devo continuare a muovermi verso l’ignoto. 
Affanculo tutto, la pentola d’oro alla fine dell’arcobaleno la troverò!, me lo sono promesso tempo addietro. 
Magari è nascosta dietro l’entrata di un ryokan o tra le pagine di un manga, e che ne so. 
Meglio controllare :-)
Il resto non conta, è fuffa, è ‘Progresso’ & ‘Riforma’ in bocca al politico di turno. 
La vita è altrove. 
La vita è oscena. 
E il mio futuro prossimo è lì, dove deve essere: verso oriente. 
Mi sta aspettando da anni, come la morte.


Piuttosto: Musa o non Musa – chissà se un giorno mi parlerà ancora? – il nuovo romanzo ambientato tra Husavík e il Maine piano piano procede. L’idea è di riprendere anche il primo e restaurarlo per trovare un nuovo editore (questa volta serio) che lo renda cartaceo ma non ho fretta, ora è l’attuale “La creazione dell’Autunno” a comprimermi i polpastrelli. I personaggi principali sono tre, bella sfida eh? Si tratta di Jón Haust (l’Onirico), Richard (l’Alcolizzato) ed Elín (la Rancorosa, che tra l’altro ho abbozzato durante una sosta alla Freak Street di Kathmandu e mi garba parecchio). Mi stanno insegnando molto, sull’autunno l’amore la disillusione i colori i virus le lumache le costellazioni e tutte quelle cose che ancora non comprendo appieno.
“Liuk stai scavando in profondità", direbbero i sapienti. O forse Enrico la talpa --non sono bravo con le citazioni.
Comunque sia son preso bene dall’evolversi del tutto, sono forte quando scrivo. È un altro modo per viaggiare, in fondo.
Chissà, forse i paesaggi del paese che visiterò saranno utili anche per questo, mi doneranno ulteriori occhi nuovi (ebbene sì, i polifemi non sono bravi scrittori.)
L'idea è di essere un tutt'uno con la natura che è un po' il concetto base dello shintoismo (anche se da profano mi pare più wiccan...); non vedo l'ora di interrogare i sacerdoti - o come si chiamano laggiù - in merito, magari dopo aver assistito a un allenamento di sumo giusto per sentirmi ancora più samurai (lo stuzzicadente, intendo). Sono curiosisssssimo! 
E niente, c’est tout.

Chiudo gli occhi, 
deglutisco, 
non immagino più nulla, 
c’è una voce che mi chiama e non so distinguerla, 
forse sei tu. 
Ora basta divagare, 
c’è una mini valigia da preparare, 
moleskine da riempire, 
vita da bruciare, 
punti interrogativi da cancellare, 
parentesi da chiudere
e una foto in Radiohead style da farmi scattare...


A testa alta e col sorriso verso l’ignoto, mentre aggiungo un altro passo verso l'orizzonte.
Ora e per sempre: people rockin’ in a free world.


 さようなら