sabato 10 dicembre 2011

IL CANTICO DELL'ABBANDONO.

SOUNDTRACK OF THE DAY

12:51 - The Strokes
A vita bassa - Baustelle
Il vitello dei piedi di balsa - Elii

<Come stai Luca?, ah ma sei ancora vivo!?!>
Come sto... qualche mese fa una persona mi ha fatto notare la difficoltà nel rispondere a una domanda del genere, un po' per il disinteresse di fondo nel sentire la risposta e un po' per la difficoltà nell'intraprendere una rapidissima autoanalisi al fine di darla, quella risposta ininfluente.
Ho letto uno splendido romanzo di Zafon che si intitola Marina, scoperto la bellezza dei primi film di Woody Allen, mi sono emozionato quando al ritorno dal lavoro sulla scrivania c'erano i tre figli di Akka ad aspettarmi, sto così.
In questo periodo sono come sdoppiato, con il mio io visibile che si deposita stancamente nel fondo di un gigantesco bicchiere e la mia ombra che sta lì a guardare le forme che lascio per indovinarne il futuro, da buona caffeomante.
Vedo da distante la mia vita sociale di quest'ultimo periodo, decisamente misera: i problemi (o meglio, le situazioni da risolvere) con la nonna, l'abbandono di Rachel, lo stipendio che non arriva, un insieme di eventi mi hanno portato a dimenticare l'esistenza del telefono, dei bar, degli amici –che giustamente mi maledicono.
Esco una sera a settimana esclusivamente per vedere una ragazza che mi piace parecchio, finiamo in pizzeria o in qualche posticino dove servono cocktail e non ci sono persone che conosciamo per poter parlare liberamente di qualsiasi cosa ci venga a tiro, dal rinvangare i tempi passati alle motivazioni per cui non abbiamo ancora figli, dall'ultimo film in programmazione agli assoli di Gilmour in Confortably numb, trascorriamo le ore così che quando torno a casa rimango almeno per qualche tempo con stampato quel sorriso ebete da joker; servisse a qualcosa mi prenderei a schiaffi, perché mai passo il tempo a parlare con una ragazza così bella proprio non riesco a spiegarmelo.
L'ultima volta si è presentata che aveva il paraorecchie, appena l'ho vista - continuo ad avere le fissazioni per i dettagli e quel particolare è uno dei miei punti deboli - le sarei saltato addosso, alla faccia dei discorsi intellettuali.
Ho il cervello sotto sforzo, il libro che sto tentando di scrivere mi sta riscrivendo.
È la prima volta che un qualcosa mi impegna a fondo: nonostante non sappia bene quale sarà la sua storia mi diverte vederlo crescere, osservo quasi stupito il passaggio polpastrelli schermo pc carta. Non ha titolo, forse arriverà alla conclusione come quei genitori che non danno il nome al loro nascituro fin quando non emette il primo vagito. Parla di un orfano nato a Dusseldorf nel 1925, di medici nazisti, di un rocker hippie militante in un gruppo folk-psichedelico (i Soul Stripped II Times, arrivati a sfiorare il successo durante i primi anni 80 aprendo un concerto a Londra ai King Crimson), di un ragazzo di nome Dylan che subisce l'attuale periodo di crisi e vive lasciandosi scivolare i giorni addosso come i personaggi di Camus, di incubi notturni che non sempre si dissolvono all'alba, di una gatta di nome Zooey, di Firenze Glastonbury Christiania e dell'Argentina. Parla di un po' di cose, devo ancora capire bene in che modo lo farà.
Manca appena un mese all'inizio del corso alla Holden e il senso di inadeguatezza inizia ad amplificarsi, non mi sento pronto e allo stesso tempo lo sono da anni.
Brrrrr!, che ansia!, che tutto!, che ...boh.
Me ne torno a risistemare un capitolo. 
Magari domani le telefono. 
Il resto si sistemerà a suo tempo. 
Amen.

STAY TUNED

martedì 25 ottobre 2011

BUILD THE MODER [holden] CHANSONNIER.

SOUNDTRACK OF THE DAY

Il musichiere 999 - Baustelle
Canzone triste – Ivan Graziani
Canzone dell'amore perduto – Faber
Sempre uguale a mai - Dente
 
«Ciao, scusa se son tutto in disordine, volevo tagliarmi i capelli ma temevo non mi avresti riconosciuto.»
«No!, non farlo!, che hai il ciuffo di De André.»

Io ho delle domande. Cose stupide, presumo. Perché il raffreddore mi colpisce quando trascorro un weekend autunnale rinchiuso in casa a riflettere, per esempio. Oppure: perché alcuni nazisti hanno raggiunto il secolo in perfetta salute. Perché quando ci sono manifestazioni ho sempre la sensazione che alcuni casinisti siano poliziotti infiltrati. E ancora: come mai dietro a un qualcosa che reputo una stronzata colossale (film, canzone, guerra, innovazione, libro, moda..) ci sono sempre e comunque gli americani di mezzo. Boh.
In questo mese ho gettato le basi per una svolta, dopotutto fra poco arriverò a quota trentuno e tanto vale recitare la parte dell'uomo non soltanto all'anagrafe.
Ricordo che da bambino osservavo divertito mia madre mentre mangiava una pesca per poi lamentarsi che la gola le si irritava: non capivo perché se una cosa le faceva male ogni tot di tempo perpetuava l'errore. «È che mi piace» rispondeva candidamente, con quel tipo di sorriso che le mamme hanno solo per i loro figli.
Forse, dopo tutti questi anni, ho iniziato a comprenderne il significato: mi sono reso conto di dipendere da un'allergia.
Giorni fa il bisogno di sfuggire a una valle troppo stretta e alienante mi ha portato a tastare un FrecciaRossa: la meta era Firenze, la scusa Elena –e viceversa.
Nel tragitto, per scaldarmi le ossa, sognavo che una ipotetica Lei sognasse che sognassi di averla vicino (ogni volta che salgo su un treno è sempre la prima, mi appare come un qualcosa di anacronistico ma non so bene perché, nonostante che oramai sfiorino i 300 all'ora nella mia testa quando decido "Va bene, prendo il treno" si forma l'immagine della locomotiva di Castelli di rabbia e non del TGV)
Dicevo, Firenze. Essendo città toscana, è un luogo da torcicollo.
Non potevo fare a meno di rimanere estasiato dalla bellezza del campanile di Giotto, mi sentivo felice come una bambina al concerto dei Jonas brothers.
Sculture ovunque, ragazzi che seduti sui gradini disegnavano rapiti le innumerevoli opere sparpagliate per la città, piazze che sorseggiavo a piccole dosi per paura di indigestioni, elettricità nell'aria e occhi chiusi a immaginare un tragitto di un giorno qualsiasi del maestro Giotto mentre, aggirandosi guardingo tra le case delle famiglie in lotta, si avviava di buonora verso il cantiere di un incredibile campanile a destra di una cupola altrettanto immagnifica. Sì, certo, Elena per correttezza mi ha spiegato che purtroppo, nonostante i gesti di Terzani, alcuni negozi storici sono stati sostituiti da vetrineperfalenebipedi di Roberto Cavalli e altre quisquiglie per maleducati russi e americani vestiti in serie ma niente da fare: ogni piazza ti compare all'improvviso e come una Dea del tempo ti proietta secoli addietro, senza chiederti il permesso, semplicemente, così.
Infine, ineluttabile, l'allergia.
All'Arte.
Mi ritrovai nuovamente al lavoro, il giorno successivo, con quella faccia da ebete che si ha quando si vedono realizzate utopie, del tipo: il Toro in serie A, un aumento di stipendio, lo specchio che dice «Sei più figo di me», la benzinaia che ti regala il pieno, cose così.
L'Arte mi fa stare bene, ma è un bene destinato a seccare rapido come il sangue dei cadaveri, così che per rigetto il ritrovarmi nuovamente di fronte i soliti luoghi facce discorsi ogni volta mi crea maggiori difficoltà nel simulare indifferenza, come un tarlo che si insinua nel cervello e dichiara guerra alle sinapsi, araldo della Gloriosa Immutabile Val Chisone.
Fingevo indifferenza, dunque: rinchiuso al calduccio dell'ufficio mi convincevo che in fondo stavo bene così, che il posto fisso è un privilegio –guardati intorno Liuk, quasi nessuno lavora più oramai.
E niente, stavo per rassegnarmi al solito trantràn quando ho ripensato a ciò che ero quando frequentavo le superiori, col mio caschetto da bambino, le poesie di Rimbaud sottobanco, i NoFx nel walkman, il quaderno dei pensieri perduti che condividevo con la vicina, la vita davanti a fissarmi incuriosita come fossi un palloncino disegnato col sangue. Ero così, non mi limitavo ad osservare i miei gesti col grandangolo come negli ultimi anni.
Da una parte il posto fisso mi dà da vivere, dall'altra le persone e i discorsi interessanti mi fanno vivere: avevo bisogno di prendere una decisione, muovermi o scegliere di cementificarmi.
La cosa assurda, conoscendomi, è che ho deciso di scrollarmi la paura, innalzarmi: ho semplicemente pensato –Liuk, ok, a Firenze sei stato bene e hai ripreso a suonare, ma in fondo qual è il tuo desiderio più grande, a parte fidanzarti con Zooey Deschanel?
È stato un attimo, di quelli al rallentatore dove ogni volta, a ripensarci, compaiono nuovi dettagli: il cuore mi ha indicato che sarebbe felice, e io con lui, se diventassi uno scrittore –o giù di lì.
Preso dall'entusiasmo mi sono iscritto al corso della scuola Holden, sicuro che non avrebbero neppure aperto la mail di richiesta... il Destino (o meglio: Lachesi) però al solito ingarbuglia i fili e per qualche strana congiunzione astrale non solo l'hanno letta ma sono pure stato ammesso!
Tornerò sui banchi di scuola, so che dovrei esserne terrorizzato –lì risiedono i futuri Mostri Sacri della letteratura italiana e io sono una pulce che non ha neppure una storiella pronta nel cassetto della scrivania-- ma ora mi godo il momento, come quando ero un ragazzino torno ad addormentarmi col sorriso sognando tante cose belle (e ho pure il ciuffo di De André smile)

STAY TUNED

sabato 17 settembre 2011

UN URLO IN CERCA DI UNA BOCCA.

Baustelle – Il nulla
Foo Fighters – Arlandia
Ustmamò – Canto del vuoto
blueBUGS – Adesso è come quando non ci sei
N. Fidenco – A casa di Irene

Sì, ci sono, svuotando il trolley semidistrutto ho sparso sul letto tutte le ultime vicissitudini. Ho trovato alcuni frammenti di me degli ultimi mesi: io e Dave Grohl che ci scambiamo un'occhiata complice, io un giorno di primavera mentre dico «Liuk, ti meriti una vacanza, prepara i bigliettini», lei che dice cose strane sulle piante medicinali, io al corso di spagnolo sempre meno convinto, un'altra lei che me lo reinsegna, io che preparo delle torte, io a rimpinzare le tasche dei migliori ristoranti pinerolesi per far colpo, io mentre leggendo "Shantaram" (un libro che profuma di India) decido di visitare la Scozia da solo in autostop (strane associazioni accadono a volte), io che non dico di no a due amici che si vogliono aggregare al mio viaggio, lei che mi fa discorsi decisamente ambigui sui frappé herbalife, io al lavoro mentre guardando lo schermo del pc mi accorgo improvvisamente di avere i capelli lunghi, io col moleskine in mano all'aereoporto di Torino mentre in solitudine aspetto l'imbarco per London e ancora: frammenti a ricordarmi le selezioni da "indovina chi?" ogni qualvolta esco con una ragazza adornate di motivazioni impossibili (lei no perché non riuscirei a mantenerla economicamente, lei no perché mi vuole comandare, lei no perché ha un cognome incompatibile, lei no perché è astemia, lei no perché me ne innamorerei ma forse non sarebbe quella giusta, lei no perché non mi vuole mezzo, cose così), io che dormo a London in casa di un indiano e poi: Camden Town e gli odori, la ripartenza e quindi Sheffield, la foresta di Nottingham, Leeds, il freddo di Newcastle e la consapevolezza che sarei davvero arrivato in Scozia.

Scotland (Alba, in gaelico), la Scozia come sogno, come idea che si avvera, in trent'anni a inseguire certe domande sulla punta della lingua continuo la mia ricerca al nord di risposte da tenere care per il futuro e ancora prima di assaporarla mi rendo conto che anche questa volta raggiunto lo scopo questo verrà sostituito da un vuoto.
Perché sì!, realizzare un sogno è comunque sempre un punto di arrivo, e da lì non si può far altro che dimenticare e sognare un altro sogno perché solo le cose inaspettate ti si fondono nell'anima (altro frammento: io che penso la cavolata del "ti si fondono nell'anima" mentre guardo il paesaggio davanti a un daiquiri alla fragola in offerta a 5 euro in un bar di Naxos).
E forse, forse, il mio voler andare in Scozia è solo un riflesso della speranza di un giorno tornare a essere parte d'Islanda.
Successivamente ho un altro frammento di poche ore dopo e ci sono io alle 2 di notte sotto il diluvio a sussurrare estasiato «Edinburgh, wow!»
Ogni edificio è lo specchio di rancori altrui, la città coi suoi colori celebra la morte e la mischia con la vitalità degli artisti di strada (Il risultato? Edinburgh è lo stillicidio che mina la sanità mentale, come se con la sua continua pioggia, i suoi edifici affumicati, il castello costruito dove non si dovrebbe un minuto dopo l'altro prendesse le tue emozioni di vita vissuta e si divertisse a scomporle e ricomporle a casaccio senza mai distogliere lo sguardo dai tuoi occhi, turbati e gioiosi...)
Edinburgh è me in modalità random, dice un'altra scheggia fuoriuscita dal trolley. Ero io seduto al parco (lì su ogni panchina c'è una targa con il nome e una mini biografia di personaggi che hanno plasmato nel tempo la Scozia)
Edinburgh è bella come l'amore che si rivelerà per non essere assaporato se non nel momento della sua dipartita.
E poi altri ricordi, facendo avantiveloce: gli artisti di strada in festa per il Fringe, l'idea di visitare Loch Ness, la splendida pioggia incessante, il riprendere l'aereo da solo per Pisa dopo che la compagnia si è rivelata inadatta, l'odore della Scozia come una seconda pelle, Luca che si guarda allo specchio di un bar toscano e dice
«Sono tutti segnali, se le cose vanno così ci sarà un motivo, maremma maiala.»
Controllo le tasche, casomai qualche ricordo sia rimasto ancorato alle cerniere: ne esce uno, io che mi prenoto un viaggio per l'Andalusia e a metà prenotazione si cancella il viaggio stesso, lasciandomi quell'ora di panico a ripetere come un mantra malsano –non esiste che rimango mezza vacanza a casa, non esiste che rimango mezza vacanza a casa, non esiste che...
Negli ultimi tempi, dopo la catarsi di Edipo, ho quasi smesso col piangermi addosso senza barlumi di reazione (le braccia delle fate sono deboli, inutile credere alle loro promesse di stabilità) e così in un altro frammento ecco luca che scegli una meta casuale (europea, al solito): la Grecia.
In pratica: l'ultimo posto, insieme all'Albania, dove mi sarei aspettato di finire. E così, in breve tempo, ripassare quello che conoscevo di questa nazione frastagliata: olive, sirtaky, Zorba, Mediterraneo di Salvadores, Pollon, Zeus, Aprodite's child, Ovidio, yoghurt, piatti rotti, matrimoni grossi e grassi.
Ma la vita è magnificamente stronza e ogni volta che avvicini la felicità questa accelera e scollina dietro l'orizzonte: mezz'ora dopo il mio arrivo in quel di Atene riesco a farmi smaterializzare lo zaino da qualche greco che in questo momento sarà già in avanzato stato di decomposizione se le mie maledizioni soro giunte a bersaglio. E' la prima volta che mi rubano qualcosa e il danno, soprattutto a livello emotivo, è stato impressionante. Non per i vestiti o l'i-pod o la macchina fotografica o il sacco a pelo o gli altri oggetti, quelli si ricomprano e non hanno anima... ma per i miei moleskine storici impregnati del luca che fu e di quello semi attuale.
E poi c'era lui. Era lì dentro. Lui, sì.

Akka, mi manchi terribilmente.
So che le belle cose hanno sempre e comunque questa dannata data di scadenza impregnata di inchiostro invisibile, però tu dipendevi da me e io avevo promesso a entrambi che ti avrei protetto.
Beh, il risultato è questo.
Ti ho lasciato, ho lasciato che un greco qualunque ti strappasse via da me come se fossi un oggetto inutile, una rana verdastra in un oceano di pupazzi migliori e costosi.
Non ti ho difeso, non ti ho protetto.
Sono disperato, non ho nemmeno il coraggio di implorare il tuo perdono. Perché sì!, lo sapevo che tu eri sei rimarrai una proiezione di un me migliore, avevo ho bisogno del tuo sorriso perpetuo e sapere che ora, chissà..., sei finito in una discarica, beh..., mi annienta. Mi annienta. Potrei esser finto poeta e dire che una tomba migliore per te non poteva esserci, il Partenone di Athìna (Atene) come sfondo, l'eterno riposo degli dèi a sobillare l'inutilità dell'esistenza terrena, quando Pascoli sosteneva che della vita il fulcro è il sepolcro. Ma, lo so bene, sono tutte stronzate. Immense.
Tu sei stato rapito e io non sono stato attento.
Tu sei stato stuprato e io non ho messo a soqquadro la penisola per scovarti.
Tu sei un prolungamento della mia anima e io non ho curato il tuo benessere, ti ho dato per scontato e ora non ci sei più, così, semplicemente, come un finale improvviso dopo pochi atti, giusto il tempo di piangere, piangere, vomitare il dolore e respirare sensi di colpa perché mentre urlavi sorridendo in silenzio io ho continuato a vivere, addirittura a infatuarmi per qualche giorno di una donna che sia atteggiava da Audrey.
Sì, mio amico fedele, è questo che mi fa così tremare dalla disperazione: tu sei stato ucciso e io, egoista, ho lasciato ai feromoni il pilota automatico.
Penso al tuo sorriso che non potrò più meritare: avrei dovuto essere un uomo migliore.
Non ti dimenticherò, anche se mi odierai.
Non ti dimenticherò.
Addio, Akka.

Si chiude una porta e si apre un portone, a jè pà 'n malheur sensa 'n bonheur: mi aspettavo qualcosa di bello, sentivo che era l'ora di riscuotere il credito con la buona sorte, fino in fondo.
Briciole di ricordi ellenici mentre scuoto il trolley, riproietto mentalmente la devastazione di Atene: più macchine bruciate che integre, più cani randagi che persone, più vecchi sdentati che fanciulle svestite. Per usare un francesismo edulcorato, in sintesi, i greci mi stanno sul belino.
Dieci giorni nella tomba degli dèi a conoscere persone fantastiche (non greci, of course: italiani), persone sì, e quindi: nuove storie, aneddoti, modi di dire, accenti, pensieri consolidati nel tempo, odori, pelle da scoprire, manie, fratelli, magnifiche utopie toscane, brindisi, parole sconosciute o non immediate, sfide su "chi ne sa di più a proposito di", pensieri orribilmente giustificabili, feromoni in subbuglio (ancora!), parole non dette dopo occhiate malcelate, occhiate non date dopo parole mal interpretate, opinioni da nuovi punti di vista, voglia di dimenticare.
Frammento di passaggio: luca nel catamarano con affianco lei che sussurra «Come mai sei finito qui?» Attimi di sguardi in sospeso, luca si gira per prendere fiato e sferra l'attacco con un «Per incontrare te» detto senza accorgersi che la lei di turno, a causa delle pastiglie per proteggersi dal maldimare, si era nel frattempo addormentata. E tanti saluti all'atmosfera.
La mia stanza inizia ad essere trempa di ricordi, ne colgo uno e vedo un luca qualunque che si abbrustolisce sotto il sole di Santorini, immagazzina dettagli sull'architettura di Folegandros, si annoia di fronte all'ennesimo coro di "oooh" al tramonto e immagina mondi paralleli oltre il portale di Naxos.
Persone fantastiche dicevo, del genere che non ci si perde di vista col tempo, esattamente ciò che serviva al mio equilibrio psichico: dopo la delusione di alcuni amici, il conoscere nuove vite appare come una sorta di compensazione.
Rifiorivo, facendo finta che i petali non fossero neri.
E poi il viaggio di ritorno, col destino che decide di regalarmi un altro diario - tramite una Luisa di Bologna - e un incontro inaspettato, di quelli che sembrano l'inizio di un film intrigante.
Si decolla, io inizio a imbrattare il diario e la mia vicina anche: un paio di battute sulla casualità e stop. Poi le sbirciate ai pensieri altrui, lei che accende il notebook e inizia a correggere un suo racconto (a quest'ora sarà già un libro) sulle groupies. Bingo! 
«Scusa, so che non è corretto spiare ma... bel titolo.
E da lì in poi il destino torna a giocare a dadi con la mia vita impersonificandosi in una giornalista, Gabriella, conduttrice in una rete privata piemontese di programmi musicali mirati ai gruppi emergenti, nonché organizzatrice di festival eccetera eccetera.
In pratica: guardavo lei e pensavo che quella casualità dei posti accanto e di altri particolari, beh, erano segnali. So che l'uomo vede i segni che vuole vedere, a prescindere della veridicità, però in questo caso erano davvero troppi ed evidenti perché passassero inosservati.
E così Liuk torna a casa con la lei (del catamarano e di altri dettagli trascurabili) dopo aver congedato l'angelica conduttrice, sicuro dei suoi primi passi nel futuro prossimo: ricostruire una band, tornare nel mondo della musica entrando dalla porta principale, assaporare il sangue dei polpastrelli sfregiati, sentirsi vivo, fiero, utile.
Un paio di giorni dopo l'incontro il ritorno a casa questa volta non è riuscito a scalfire minimamente l'ambizione del liuk quasi trentunenne: un paio di telefonate convincenti et voilà!, la band è formata. Carica.
Oggi abbiamo superato la seconda prova (affittiamo uno studio di registrazione a Pinerolo) riprendendo mie vecchie canzoni: "Adesso è come quando non ci sei" ha superato la prova del tempo anche se con musicisti nuovi ho/abbiamo intenzione di stravolgerla, almeno in parte. E mi sembra sia stata scritta per Akka, ora.
Soddisfatto, sì!, al momento tengo all'oscuro i miei progetti musicali anche ai miei amici, ho in mente un ritorno di quelli indimenticabili.
Solo una cosa non sono riuscita a mascherarla affatto: dopo anni di vita in standby sono di nuovo un figo.

mercoledì 11 maggio 2011

TRA MOGLIE E MARITO. TRA LEMMING ED EDIPO.

LUOGO: Mestre, spettatore-attore sconvolto de L'Edipo dei mille, Teatro del Lemming. Sì, insomma, voglio dire, ...ATTORE! smile Pazzesco! Bendato, poi!

E poi ti sembra di dover cercare per forza analogie quando ti affidi completamente ad un altro essere vivente e ti accorgi che per davvero gli occhi - quando esiste fiducia - sono superflui.
Camminare bendato stringendo una mano così fragile è terapeutico, ad ogni passo la stretta si dissolve per lasciar posto alla voglia di essere guidato, lievemente, verso la Verità. Quella maiuscola, quella che risponde a domande non visibili in superficie: scavare, percepire il fondo nell'oscurità, cancellare ciò che non serve davvero, resettarsi per eliminare i virus inoculati da anni di "DeviFareCosì" "PensalaInQuestoModo" "TrovaUnLavoroSerio" quindi, nuovamente limpido, ritornare a vivere utilizzando la realtà e la sensazione di essa come mezzi di conoscenza.
Affidarsi agli altri: paradossalmente farlo nel momento in cui si è più vulnerabili –ciechi!
Cercare di capire, sussurrando un mantra di "Questo non sono io", volere spingersi più in là, quasi senza paura, perché la sete di conoscenza non appagata è più terrificante dell'ignoto.
L'ignoto è, se lo voglio davvero, nient'altro che una terra erosa, un millimetro dopo l'altro, dall'oceano della conoscenza.
Rimbaud vaneggiava sull'inutilità delle gambe ma forse era solo l'ennesima sfida per l'uomo dalle suole di vento; come Edipo, come la volpe del Piccolo Principe, questi esseri mi hanno insegnato che davvero l'essenziale è invisibile agli occhi, che la spinta per attraversare le Colonne d'Ercole non arriva dai nervi e dai muscoli in movimento quanto piuttosto da un qualcosa di indefinito, di intangibile –per questo reale.
Sono stato tante cose, in una semplice mezzora: ho affidato me stesso a una ragazza che non conoscerò mai, ho lasciato che con le mie scelte influenzassi per davvero chi mi stava intorno, ho percepito che il tepore di un abbraccio è sconvolgente, ho risposto alla Domanda e mi ha sconvolto scoprire che è sempre stato tutto lì, un vulcano pronto a esplodere sotto un lago ghiacciato.
O esplodeva lui o implodevo io, non è in fondo mai esistita una via di mezzo.
Se è vero che noi siamo la somma delle nostre scelte, la nostra essenza è il risultato di ciò che siamo meno le risposte che non abbiamo il coraggio di ricercare.
Esseri completi che inconsapevolmente vivono menomati.
Normalmente mi affascina l'imperfezione, il non essere definitivo: scoprire come stanno le cose, come sono io "sul serio", vedermi senza riconoscermi davanti allo specchio e, una volta cosciente della mia essenza, riderci su, è stato estremamente terapeutico.
Ho percepito di essere tutti i miei sbagli nel momento in cui, davanti allo specchio, ho compreso che essi non sono mai esistiti...
uno sbaglio è nient'altro che una scelta alla quale, a torto, dò accezione negativa.
Davanti a quell'immagine riflessa è un po' come se fossi stato preso per mano da me stesso e insieme avessimo osservato la montagna delle esperienze non vissute in trent'anni e, guidando uno la mano dell'altro - la mia... -, avessimo deciso in quel momento di bruciarle completamente. Non le ho volute vivere prima? Bene, allora non mi erano indispensabili.
Ciò che so è che una montagna di cose non fatte non la lascerò mai più affiorare dal mio oceano.
La cosa più buffa (o sconvolgente, o deprimente, o) è l'aver capito me, aver eliminato le scorie delle insicurezze per poi giungere immediatamente a una scelta dicotomica (e scegliere, dopo una minima esitazione, l'oscurità).
E' stata una decisione indolore però: non c'era dietro né malessere né atteggiamenti da pseudostar. Così sono e così, forse, sarò.
Il punto non è esser luce, penombra od oscurità in un determinato momento della vita.
Il punto è comprendersi e accettarsi.
Il punto è che sento di averlo fatto, ora sta a me non inoculare i germi della cecità verso l'essenza mia, delle cose e delle persone che mi circondano.
Non mi odio più.
In un semplice weekend a Venezia ho ottenuto la grazia da me stesso per la pena che mi ero inflitto da anni ("Tu non ti comprenderai mai"), ho dipinto gondole col monolite come segno di riconoscenza verso una scultrice che mi ha lasciato dormire in un garage, sono stato ospitato da tre rumeni che hanno cucinato i loro piatti tipici per ore solo per vedermi sorridente, ho conosciuto gente utile al mio essere me.
Forse il positivo parte da dentro, forse la risposta era così semplice da risultare incomprensibile.
Sono libero dal fantasma del luca che fu.
Sono pronto a incontrare te.

PER UN ESTRANEO.

Ho comprato un libro per il compleanno di un'amica. Il libro l'ho acquistato domenica alla Fiera di Torino, stasera sarà regalato. Pochi minuti fa, beh, ho ceduto al diavoletto sulla spalla sinistra e l'ho sfogliato "Che sarà mai in fondo sfogliare un libro prima di regalarlo?"
Beh, leggendo una pagina a caso (è un libro di poesie) sono rimasto folgorato... come se, boh..., tra le righe fosse comparso un elfo millenario a dire "Hey Liuk!, se comprendi questa comprendi TUTTO" e poi, aprendochiudendoriaprendo gli occhi, puff!, fosse scomparso. In italiano (l'originale è in tedesco) recita all'incirca così

Capisco, sai, il tuo bestemmiare;
ma il mondo non cambia, niente da fare,
l'odio tuo non lo modifica di un pelo
gli uomini sono una schiatta intollerabile.
Ma tu, dimmi, sei forse meno esecrabile?
Proverei con l'amore a sciogliere il tuo gelo.


Non so, fa quasi male a leggerla, credo che sia il gesto più estremo in assoluto il voler mettere in atto quell'ultima riga: a uno sconosciuto poi!
Io non so cosa provano gli aspiranti rocker quando ascoltano i vecchi brani hard rock - quelli perfetti come Since I've been lovin' you dei Led Zeppelin, Bohemian Rapsody dei Queen, For those about to rock degli AcDc e, fortunatamente, molti altri--, forse in fondo al cuore sono invidiosi perché l'egocentrismo di chi suona li porta a pensare che "Cazzo!, quel pezzo dovevo scriverlo io!".
Però so che leggere più volte questa poesia mi provoca (e provocherà) sicuramente anche una punta di invidia, mi fa sentire arido nei suoi confronti...
Ieri pomeriggio ho avuto una discussione con una persona sfuggente a proposito della non evoluzione umana nel corso del tempo, lì per lì non sapevo come smontare le sue tesi (mi diverte stuzzicarla) e mi aveva quasi convinto del nostro perpetuo ripetersi degli errori, una vita dopo l'altra, e della nostra non ricerca di risposte verso le Domande che ci porterebbero a una sorta di evoluzione (da dove veniamo? chi siamo? perché siamo... e altri punti interrogativi che solitamente vengono fuori dal tepore della signorina charas per poi essere dimenticati al mattino seguente).
Mi è venuto in mente anche questo leggendo quella poesia, non so ancora bene perché ma ho sentito il bisogno di scrivere di getto per non dimenticarmi del momento attuale.
Ora so che almeno qualcuno si è evoluto, innalzato a un livello più alto, in un giorno del 1902 chissà dove, forse in camera sua con la finestra aperta sull'universo che passeggia aspettando l'ora del the.
Quell'uomo è Hermann Hesse.
Io devo, fin da ora, impegnarmi per diventare almeno comparabile a lui nel corso della mia vita - non come scrittore, quella è una guerra persa, ma come essere umano munito di coscienza.

sabato 23 aprile 2011

AVREI DOVUTO SAPERLO.


Stai leggendo, quindi "Eccoti".
Hai cinque minuti di tempo?, sei in casa o comunque riesci a ritagliarti uno spazio da sola?

Ieri stavo tornando alla base insieme a Rachel (la mia auto), avevo in testa quei mille pensieri che paradossalmente te la rendono vuota: l'inconscio mi guidava verso casa, l'io decise di ascoltare l'ultimo cd dei Foo Fighters per non assopirsi del tutto.

E, improvvisamente, ti ho pensata.

Cioè: non tu, o forse sì, non so, non ho idea di chi tu sia, forse ti conosco benissimo e senza saperlo aspettiamo che un motivo banale alimenti la passione, forse ci siamo visti ieri sera di sfuggita, forse ci siamo fumati insieme una sigaretta all'uscita dal lavoro, forse ci vedremo il prossimo mese, forse ci sfioreremo senza riconoscerci, forse non ci vediamo da un paio di settimane e giochiamo a dimenticarci, non è questo il punto: non ti ho idealizzata fisicamente - non mi interessa, ora.

Ma mi sei venuta in mente, questo conta.

E così ti scrivo, come fossi il professor Ismael di Oceanomare, perché tu un giorno possa leggere che ora - all'alba del 22 aprile 2011 - ho provato il desiderio di vederti eccetera.

Avevo la mente sgombra, l'auto col pilota automatico, il silenzio intorno e mister Dave che cantava.
Fino a qui tutto normale, insomma.

E poi le cose succedono, così, inaspettate, come se la vita stessa fosse una sorta di serendipità perpetua.
Ho sentito una canzone e ho pensato che la dovevo/devo/dovrò condividere con te, chiunque tu sia.

Sono così egoista da dire che è già la "nostra".

"Lay your hands in mine

Heal me one last time"


Mi piacerebbe che tu la ascoltassi: seduta, al buio, sola, a volume alto.

Forse pretendo troppo, ma ne vale la pena - almeno per me, per capire, per capirmi, per capirti.

E' un po' come se quella canzone mi avesse fatto comprendere che a mancarmi è una persona che non idealizzo.

Boh. In definitiva stamane mi son trovato un capello bianco e in ufficio la mia coinquilina siberiana sostiene che mi "devo" sposare, forse questi sono i primi segnali tangibili dell'apocalisse?

Manchi, essere che non riconosco.

"Through I cannot forgive you yet

No I cannot forgive you yet

To leave my heart in debt

I should have known"