martedì 25 ottobre 2011

BUILD THE MODER [holden] CHANSONNIER.

SOUNDTRACK OF THE DAY

Il musichiere 999 - Baustelle
Canzone triste – Ivan Graziani
Canzone dell'amore perduto – Faber
Sempre uguale a mai - Dente
 
«Ciao, scusa se son tutto in disordine, volevo tagliarmi i capelli ma temevo non mi avresti riconosciuto.»
«No!, non farlo!, che hai il ciuffo di De André.»

Io ho delle domande. Cose stupide, presumo. Perché il raffreddore mi colpisce quando trascorro un weekend autunnale rinchiuso in casa a riflettere, per esempio. Oppure: perché alcuni nazisti hanno raggiunto il secolo in perfetta salute. Perché quando ci sono manifestazioni ho sempre la sensazione che alcuni casinisti siano poliziotti infiltrati. E ancora: come mai dietro a un qualcosa che reputo una stronzata colossale (film, canzone, guerra, innovazione, libro, moda..) ci sono sempre e comunque gli americani di mezzo. Boh.
In questo mese ho gettato le basi per una svolta, dopotutto fra poco arriverò a quota trentuno e tanto vale recitare la parte dell'uomo non soltanto all'anagrafe.
Ricordo che da bambino osservavo divertito mia madre mentre mangiava una pesca per poi lamentarsi che la gola le si irritava: non capivo perché se una cosa le faceva male ogni tot di tempo perpetuava l'errore. «È che mi piace» rispondeva candidamente, con quel tipo di sorriso che le mamme hanno solo per i loro figli.
Forse, dopo tutti questi anni, ho iniziato a comprenderne il significato: mi sono reso conto di dipendere da un'allergia.
Giorni fa il bisogno di sfuggire a una valle troppo stretta e alienante mi ha portato a tastare un FrecciaRossa: la meta era Firenze, la scusa Elena –e viceversa.
Nel tragitto, per scaldarmi le ossa, sognavo che una ipotetica Lei sognasse che sognassi di averla vicino (ogni volta che salgo su un treno è sempre la prima, mi appare come un qualcosa di anacronistico ma non so bene perché, nonostante che oramai sfiorino i 300 all'ora nella mia testa quando decido "Va bene, prendo il treno" si forma l'immagine della locomotiva di Castelli di rabbia e non del TGV)
Dicevo, Firenze. Essendo città toscana, è un luogo da torcicollo.
Non potevo fare a meno di rimanere estasiato dalla bellezza del campanile di Giotto, mi sentivo felice come una bambina al concerto dei Jonas brothers.
Sculture ovunque, ragazzi che seduti sui gradini disegnavano rapiti le innumerevoli opere sparpagliate per la città, piazze che sorseggiavo a piccole dosi per paura di indigestioni, elettricità nell'aria e occhi chiusi a immaginare un tragitto di un giorno qualsiasi del maestro Giotto mentre, aggirandosi guardingo tra le case delle famiglie in lotta, si avviava di buonora verso il cantiere di un incredibile campanile a destra di una cupola altrettanto immagnifica. Sì, certo, Elena per correttezza mi ha spiegato che purtroppo, nonostante i gesti di Terzani, alcuni negozi storici sono stati sostituiti da vetrineperfalenebipedi di Roberto Cavalli e altre quisquiglie per maleducati russi e americani vestiti in serie ma niente da fare: ogni piazza ti compare all'improvviso e come una Dea del tempo ti proietta secoli addietro, senza chiederti il permesso, semplicemente, così.
Infine, ineluttabile, l'allergia.
All'Arte.
Mi ritrovai nuovamente al lavoro, il giorno successivo, con quella faccia da ebete che si ha quando si vedono realizzate utopie, del tipo: il Toro in serie A, un aumento di stipendio, lo specchio che dice «Sei più figo di me», la benzinaia che ti regala il pieno, cose così.
L'Arte mi fa stare bene, ma è un bene destinato a seccare rapido come il sangue dei cadaveri, così che per rigetto il ritrovarmi nuovamente di fronte i soliti luoghi facce discorsi ogni volta mi crea maggiori difficoltà nel simulare indifferenza, come un tarlo che si insinua nel cervello e dichiara guerra alle sinapsi, araldo della Gloriosa Immutabile Val Chisone.
Fingevo indifferenza, dunque: rinchiuso al calduccio dell'ufficio mi convincevo che in fondo stavo bene così, che il posto fisso è un privilegio –guardati intorno Liuk, quasi nessuno lavora più oramai.
E niente, stavo per rassegnarmi al solito trantràn quando ho ripensato a ciò che ero quando frequentavo le superiori, col mio caschetto da bambino, le poesie di Rimbaud sottobanco, i NoFx nel walkman, il quaderno dei pensieri perduti che condividevo con la vicina, la vita davanti a fissarmi incuriosita come fossi un palloncino disegnato col sangue. Ero così, non mi limitavo ad osservare i miei gesti col grandangolo come negli ultimi anni.
Da una parte il posto fisso mi dà da vivere, dall'altra le persone e i discorsi interessanti mi fanno vivere: avevo bisogno di prendere una decisione, muovermi o scegliere di cementificarmi.
La cosa assurda, conoscendomi, è che ho deciso di scrollarmi la paura, innalzarmi: ho semplicemente pensato –Liuk, ok, a Firenze sei stato bene e hai ripreso a suonare, ma in fondo qual è il tuo desiderio più grande, a parte fidanzarti con Zooey Deschanel?
È stato un attimo, di quelli al rallentatore dove ogni volta, a ripensarci, compaiono nuovi dettagli: il cuore mi ha indicato che sarebbe felice, e io con lui, se diventassi uno scrittore –o giù di lì.
Preso dall'entusiasmo mi sono iscritto al corso della scuola Holden, sicuro che non avrebbero neppure aperto la mail di richiesta... il Destino (o meglio: Lachesi) però al solito ingarbuglia i fili e per qualche strana congiunzione astrale non solo l'hanno letta ma sono pure stato ammesso!
Tornerò sui banchi di scuola, so che dovrei esserne terrorizzato –lì risiedono i futuri Mostri Sacri della letteratura italiana e io sono una pulce che non ha neppure una storiella pronta nel cassetto della scrivania-- ma ora mi godo il momento, come quando ero un ragazzino torno ad addormentarmi col sorriso sognando tante cose belle (e ho pure il ciuffo di De André smile)

STAY TUNED

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