domenica 16 marzo 2014

IL VUOTO CREA STABILITÀ.

Oggi è il sedici marzo, e i numeri su carta mi inquietano: son passati settantacinque giorni dall'inizio dell'anno e ho già raggiunto la terza infatuazione. Di fatto mi innamoro ogni venticinque giorni, che confusione. Detesto la matematica, anche se la risoluzione di qualche incognita non mi dispiacerebbe affatto.
Sono al parco vicino casa, è fine inverno e il primo caldo mi ricorda che per qualche mese non avrò bisogno durante la notte di Zooey in versione borsa dell'acqua calda.
Vedo i primi fiorellini e l'idea di non conoscere tutti i nomi delle piante mi infastidisce; certo, questa cosa fa molto Into the wild, ma il comandamento che mi sono imposto tempo addietro "Lo scrittore deve sapere l'argomento trattato" presuppone espandere la conoscenza a 360 e qualche grado – cioè girarmi e alla fine vedere da un'angolatura lievemente differente – anche se ciò al momento mi procura più malintesi che altro. Per dire: pochi giorni fa durante un discorso sciocco con la Marty siamo entrati nell'argomento milf, alché m'è scappato che esistono pure le gilf. Da lì a giustificare che il saperlo non significa ususfruirne, è stata dura. La realtà è che una protagonista che ho in testa per il prossimo romanzo potrebbe essere un po' allegra, ma rendendomi conto di quanto suonasse come scusa son restato a metà tra il silenzio e il sorriso ebete, che in fondo è il leitmotiv di quando trascorro la pausa pranzo con lei. Figurone!
Vabbè, dopotutto "Essere compreso significa prostituirsi", diceva Pessoa.
Che poi, voglio dire: scrivere un romanzo è solo l'inizio, una sorta di Stargate verso un universo che lo scrittore affronta insieme ai lettori. Certo; ma qual è lo scopo?
Ogni volta che mi siedo su una panchina a guardare la natura mi assalgono i "perché": dapprima con cortesia, poi – accade spesso quando osservo il cigno del laghetto seguito a distanza dalle anatre – i perché si trascinano enfatizzando la erre con l'arroganza di un formigoni di turno, e lì tendo a cambiare panchina senza rispondermi.
«Perché scrivi se poi nemmanco i tuoi amici ti sostengono?»
«Perché ti poni domande, quando a conti fatti è più facile scoprire un pianeta popolato da tirannosauri con le braccia di giannimorandi piuttosto che un conoscente legga il tuo romanzo?» (<---Ehi, aspetta un attimo, signor invisibile generatore di perché: il romanzo non è mio, e che cazzo, una volta messo in commercio di fatto l'ho donato all'umanità. Mio mi innervosisce, right? E non chiedermi il perché.)
A volte, lo ammetto, ho attimi di sconforto: uno immagina sempre che il proprio operato venga quantomeno preso in considerazione dagli altri, scordando non solo che la realtà è differente, ma anche che comportarsi in modo menefreghista è del tutto naturale. Anni fa ho letto che esiste persino un termine tedesco – Schadenfreude – per definire lo stato di gioia nel vedere un personaggio cadere in disgrazia. Bah. Mi domando se non dovrei chiudere i rubinetti all'empatia prima che questa paradossalmente col suo calcare mi incrosti il flusso di emozioni.
Fregatene, Liuk. Pensa a cosa disse Agota Kristof:
"Prima di tutto, naturalmente, bisogna scrivere. Dopo di che bisogna continuare a scrivere. Anche quando non interessa a nessuno. Anche quando si ha l’impressione che non interesserà mai a nessuno. Anche quando i manoscritti si accumulano nei cassetti e li si dimentica, pur continuando a scriverne altri."
In realtà è tutto più semplice e meno cervellotico: il senso di appagamento che si riceve una volta completato un obiettivo (che sia un romanzo, una torta mimosa, un figlio, un viaggio, un matrimonio, la Champions col Torino a pro evolution) viene prima o dopo sostituito da un ancor più grande senso di vuoto, che in alcuni casi fa scordare del tutto l'appagamento precedente. Merda. Cosa mi è rimasto, a conti fatti, di due anni trascorsi in esperienze e ricerche per la stesura di Per Adesso No?
Un file in formato epub.
E la cosa buffa è che due anni fa nemmanco sapevo cosa fosse un file epub, se me lo avesso domandato avrei detto «Epub? È l'anagramma di Pube.»
Un po' come quando guardavo le ultime puntate di Breakin Bad ed ero pervaso da una eccitazione malinconica; imparavo alcune battute a memoria, analizzavo i filmati godendo delle inquadrature manco fossi l'aiuto regista, esclamavo «Ma dai!» «Nooo» «Figaaata» durante alcuni passaggi risolutivi e nello stesso istante l'idea di una serie TV oggettivamente inarrivabile mi inquietava. "Non vedrai più nulla del genere" mi diceva la vocina rompipalle. 


E già il vuoto di quella mancanza insostituibile mi rovinava le immagini di Walter White e la sua discesa. E adesso? "A che cosa si riduce tutto questo?", cantano i Negrita


Mesi fa ho concluso i corsi alla Scuola Holden ma solo da quando ho strappato quel cordone ombelicale si è manifestata la consapevolezza di quante informazioni mi han tramandato, di quanto quell'atmosfera fosse a me necessaria per quella sorta di utopia che è il Vivere Bene.
Amicizie confronti punti di vista differenti, tutte cose che ora non ritrovo. O forse ritrovo in maniera differente senza rendermene conto.
Dev'essere la Sindrome di fabiofazio, dove ciò che era è sempre migliore di ciò che è.
Mi piacerebbe tornarci e vedere quanto sono cambiato, sì. Lo farò.
Il fatto è che a ogni risveglio ho come l'impressione che qualcosa mi stia sfuggendo. Oltre a sei ore di sonno, intendo. Gli obiettivi prefissi a inizio anno per fortuna al solito non li sto raggiungendo, anche se la bocca impastata e le ossa scricchiolanti ogni mattina mi ricordano che sarebbe bene iscriversi in palestra ed eliminare il tabacco.
Per stare meglio ho pure tentato con l'ammodernare la camera da letto (nuova tinta viola e un quadro di Munch, La danza della vita, che tanto mi garba) eppure a sfuggire è sempre quel nonsoché, come se ogni persona luogo cosa che incontro sia destinata col tempo a non lasciare traccia. Destinati a dimenticarci.


Quando sono più fuso del solito ho l'abitudine a lasciarmi trasportare dai ricordi in modalità random: una serie di immagini collage senza filo logico, tipo: l'odore di un parco ligure seguito dal panorama mattutino color aragosta di Kayenta e di quando alle elementari, travestito da Sioux, dimenticai il monologo durante la recita, e ancora: la volta che con Francesca rovinai una torta, quando sotto una foglia trovai diecimila lire, il record a street fighter 2, la sera d'estate a vedere Matrix in un cinema all'aperto sopra il cassone di un'ape, Stefania che mi parla di iridologia mostrando libri dai titoli interessanti. Immagini così, sconclusionate.
Eppure.
A volte mi chiedo se siano successe davvero, se ripensandole il cervello me le proponga in modo artefatto per ragioni che non comprendo.
Dovessi disegnarti, non ci riuscirei.
Finirei col costruire l'idea che ho di te, non te.
Diventeresti un ibrido, che poi forse è ciò che siamo agli occhi degli altri. Ibridi di noi stessi.
«Quello non sono io...» dico ogni volta che guardo vecchie foto «...sorrido.»
Prima di condividere casa con una gatta non è che avessi granché da sorridere, in effetti. :-)
Comunque sia, il parco dà troppi pensieri, no doubt.
Guardo il cigno e penso che è l'ora di organizzare un viaggio, ricaricare le pile. In fondo l'anno scorso in questo periodo avevo gli occhi pieni di ghepardi ed elefanti, ora mi restano tutt'al più i topi che si nascondono sotto le foglie per salirmi sul braccio mentre sistemo il telo durante la pausa pranzo al bacino di Villar. Caspita.


Credi di sfuggire e vai a sbattere in te stesso, diceva Joyce.
Certo, i soliti Perché mi dicono che vedere luoghi nuovi serve a ben poco se poi al ritorno il vuoto si fa ogni volta più ampio, ma me ne frego.


In fondo è quasi primavera e fa bene pensare che in Japan a breve fioriranno i ciliegi.
Sì ok non siamo lì, però sempre e comunque ci sarà in qualche angolo un qualcosa in grado di emozionarci l'anima. Se per esempio ora si materializzasse Joda o Miyagi potrebbe sussurrare «Sii il ciliegio di te stesso, Liuk», perché no? Non sarebbe un'idea malvagia.
Divenire un ciliegio. E non dare importanza ai soliti che sprecheranno tempo a denigrare i tuoi petali, a dire che il loro tronco ha più anelli, che i loro rami sono più grossi o a pisciare sulla nostra corteccia: se quel ciliegio che sarai farà sorridere te e chi ti è caro, il resto non conta. E se non sorrideranno, tu comunque ci avrai provato e continuerai ad amarli (il Dare/Avere non lo reputavo importante quando studiavo economia, figurarsi in amore!)

Tra l'altro la scorsa settimana ho partecipato a un Funeral Party (che sarebbero feste splendide organizzate da Giorgia – conosciuta alla Holden, te pareva – con tema il rispolvero, attraverso film concerti esibizioni alcool, di un personaggio che per forza di cose non risulta vivente. Il penultimo Funeral Partuy era per e su Salinger, l'ultimo su John Belushi. Per dire).
È proprio la Giorgia una di quelle persone che danno un senso a tutte ste parole sparse per il post, a proposito di vuoti ricerche matematica romanzi breakin bad varie&eventuali; lei è una persona che conosco poco ma emana quell'aura positiva che ti vien voglia di svegliarti dal torpore, scuoterti e pensare "Toh!, guarda, e tutta sta polvere che avevo addosso da dove arriva?" Quando la vedevo a scuola – di solito lei era dietro la scrivania a dire "Ben arrivato" e io in ritardo firmavo il foglio di presenza tutto già agitatofintomenefreghista – ogni volta mi fermavo a pensare "Wow, ma guarda un po' questa, un sorriso così splendente e manco è photoshoppata."
È gratificante sapere che non solo esistono persone simili ma che pure si possono conoscere d'improvviso, magari tu sei di corsa al bar e ta-daan!, un sorriso ti ripara la giornata.
E allora: Smile :-) Smile :-) Smile :-) a tutti voi bella gggente!, oramai il sole è lì lì per tramontare e l'aria del parco si raffredda, meglio ritornare a casa.
...e comprate/leggete il romanzo, mi raccomando!, a tempo perso sto creando una pagina su feisbuk come farebbero i gggiuovini :-)

STAY TUNED




"Guess I got what I deserve
Kept you waiting there, too long my love
All that time, without a word
Didn't know you'd think, that I'd forget, or I'd regret
The special love I have for you
My baby blue"

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