A volte, ChiScrive
aggiunge l’ultimo punto in seguito all’ultima parola dell’ultimo paragrafo.
Quando succede, solitamente esclama: «Il romanzo è concluso!»
(In alternativa, ma meno
frequenti:
«Yabadabadoo!»,
«Questo romanzo è #nabbomba!»,
«Ma il corriere di
zalando che fine ha fatto?»)
E si sente potente,
inattaccabile, invincibile, in. Va dal panettiere e quasi si stupisce: «La fila
vale anche per me?, io che ho appena concluso il romanzo?»
Dura poco, per fortuna.
La soddisfazione è simile alle stelline di Mario Kart: ChiScrive si sente
indistruttibile ma proprio mentre si gode l’effetto questo svanisce e puff!, si
ritrova al bancone col sorriso ebete e una battuta qualunque in gola per
giustificare già un accenno di occhiaie.
Insomma: «Due ciabatte e una
rosetta, grazie.»
ChiScrive sa di essere Frankenstein, sa che il
romanzo (con centinaia di cuciture, tagli e abrasioni varie) è la Creatura.
Quello che dimentica – nei giorni successivi al completamento – è il
potere di ChiLegge.
ChiLegge, e cioè: colei/lui che darà vita alla
Creatura.
ChiLegge costringe il romanzo al primo ruttino,
ChiLegge è la forbice che taglia il cordone ombelicale.
ChiScrive, a questo punto, ha un brivido: nel
momento in cui ChiLegge donerà vita alla Creatura, questa si esprimerà
ineluttabilmente in modo autonomo, con differenze più o meno marcate dalle
intenzioni del creatore.
ChiScrive ricopre dunque d'insicurezza la spavalderia,
sfoglia per l'ennesima volta la Creatura, si sofferma su alcuni concetti. «Sono
chiari, sìssì», dice per farsi coraggio.
Così, sfumata la patina d’invincibilità, ChiScrive s’affaccia timidamente verso l’esterno, contatta o viene contattato da alcuni dei ChiLegge, getta il cadavere nella folla speranzoso che possa prendere vita.
Così, sfumata la patina d’invincibilità, ChiScrive s’affaccia timidamente verso l’esterno, contatta o viene contattato da alcuni dei ChiLegge, getta il cadavere nella folla speranzoso che possa prendere vita.
«Si può fare!», bofonchia alla gente e all'agente.
«Il messaggio arriverà!»
L’editore – o chi per esso – resta in silenzio, scuote la testa, indica
ChiLegge.
ChiScrive osserva la Creatura muoversi, ascolta le
prime parole pronunciate, comprende l’inganno. Tutti quei concetti, quelle ore
trascorse a cercare il termine adatto, quelle frasi
giudicate perfette, quelle note a piè di pagina… la Creatura è viva e si
esprime a casaccio, ognuno dei ChiLegge gl’insegna vocaboli che ChiScrive
proprio non utilizzerebbe mai, non per certi argomenti. «È diventato un
mostro!», si dispera ChiScrive mentre annota sul taccuino “Non sono le parole a
fregarci, è l’esperienza, il vissuto che diamo alle parole stesse.”
A volte, ChiLegge incontra ChiScrive.
Argomento: il romanzo, la Creatura.
ChiScrive ascolta – intimidito, speranzoso,
indifferente: ChiScrive è come minimo bipolare e se non comprende le osservazioni
tende a rispondere col linguaggio farfalla, ma è cosa risaputa – e come spesso
accade il romanzo raccontato diviene altro. E poi altro. E altro ancora. La
Creatura plasmata da ChiScrive e animata da ChiLegge lievita, implode,
s’espande, agli occhi di ognuno dei ChiLegge si mostra in modo differente.
O meglio: le parole sono uguali in ogni copia, gli
occhi e le esperienze di ChiLegge no.
«Ma non volevo dire questo...», bofonchia
ChiScrive mentre ascolta il resoconto sempre differente di quella che prima
dell’ultimo punto era la sua Creatura. Fa qualche sì e qualche no con la testa,
aspetta che ChiLegge sia distratto per annotarsi sul taccuino “Le parole
servono a prendere coscienza delle nostre incomprensioni.”
Dopodiché, nella migliore delle ipotesi, chiude il
taccuino: non scriverà mai più.
P.s. «Aspè,
Liuk! Tutto questo pippone sul messaggio che non arriva o forse viene
distorto, per cosa? Progetto nuovo in vista?» «Beh, la gatta è in piena
forma, ho terminato la terza stesura de La creazione dell'autunno, ho
pure registrato un brano a mò di colonna sonora. Come dire: sono
soddisfatto, per una volta mi sento sicuro. A fine estate inizierò
seriamente a cercare un editore. È solo che» «Eccallà, lo sapevo!
Che succede?» «Quando il romanzo verrà pubblicato non sarà più
mio. Sì ok, per fortuna
non sarà più mio, non è questo il punto. È la possibile
incomprensione di fondo che mi spaventa un pochino.» «Magari i
messaggi vengono interpretati in vari modi perché non scritti
correttamente.» «Sì. E no. Secondo me è un problema di tempo. Il
mittente e il destinatario lavorano asincroni, entrambi amano la
stessa cosa – in questo caso, i romanzi – ma si finisce
inconsapevolmente per vivere un pre/post coito dove se il romanzo è
il tempo, ChiScrive è già indaffarato a rollarsi la sigaretta
mentre ChiLegge deve ancora svestirsi completamente. Però poi boh,
magari un po' di incomprensione può risultare anche affascinante: in
fondo la Bellezza non riposa all’ombra dell’errore?» «E dunque,
questo nuovo progetto sarebbe?» «Un romanzo che affronta il demone
dell’incomunicabilità. Un romanzo con parole cangianti.» «Non è
approssimativo?» «Non è intrigante? Questo progetto è come
arpionare un arcobaleno. Fremo, guardami le mani. L’idea è di
raccontare la storia di una ragazza che cerca il modo per comunicare
senza la sensazione di essere fraintesa continuamente, senza il
rischio di scoprire col tempo che ogni suo rapporto si basa
sull’incomprensione, su parole che cambiano significato a seconda
della comodità. Credo sia il momento di aggiungere gocce di colostro
al mojito della letteratura. Starà al lettore decidere di shakerare
o meno il cocktail.» «Ravvivare i significati delle parole?»
«Yeah. Scrivere è roba da equilibristi. Immagina una voragine senza fondo,
con da una parte ChiScrive e dall’altra ChiLegge. La scelta delle
parole corrette è la fune che li collega. Senza di essa – e cioè
ogni volta che si usano parole sbagliate o approssimative – il
romanzo è destinato a sfracellarsi al suolo, l’eco di un aiuto che
nessuno comprenderà. Ecco, il prossimo obiettivo è questo: tendere
un filo di parole tanto resistente e stabile da non far
precipitare sfumature di significati, in quel perpetuo scambio che
avviene tra me e te.» «E arpionare l'arcobaleno.» «E arpionare
l'arcobaleno, sì.» «Al lavoro, dunque.» «Sempre.»
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