"È necessario credere
Bisogna scrivere
Verso l'ignoto tendere
Ricordati Baudelaire"
Quando decide di soddisfare un'urgenza
scrivendo un romanzo, lo scrittore impersonifica per intero la scena
iniziale di Inglorious Bastards, dove l'idea è il cumulo di polvere
in avvicinamento dell'auto carica di nazisti (le Regole) e lo
scrittore è un rude contadino seduto al tavolo della cascina.
Ma è anche una graziosa ragazza (la
Forma), è anche un buonissimo latte (i Dettagli), è anche un
insieme di rifugiati nello scantinato (Figure Retoriche, Frasi Fatte,
Razionalità), è anche una azione violenta (il Filo Logico), è
anche un discorso pacato (i Personaggi) e include pure la fuga finale
(il Subconscio).
Si perde il controllo, così come
l'onanista l'architetto o lo chef; ci si dimentica, ci si abbandona
alla mano che è una mente a sé, il corpo controllato da una sorta
di fasullo stand-by. Se lo scrittore è bravo e fortunato, a volte
accarezza pure l'idea di esser regista.
Compiere azioni per comprendersi,
quando in fin dei conti "La vita è un viaggio inspiegabile
fatto involontariamente" (diceva Pessoa).
Credo che un ottimo allenamento per
capirsi sia perdersi, allentare le cinture dell'autocontrollo.
Ho sempre diffidato da chi ha tutto –
almeno così crede – sottocontrollo; passiamo buona parte della
vita regolando all'ingiù l'asticella della pazzia per non perdere
credibilità di fronte agli altri ("Mi piacerebbe tanto
indossare quel cappotto giallo, ma meglio di no, chissà cosa direbbe
la gente..."), eppure ogni volta che riconosco chi non si
concede un break dalle regole mi prende sempre quel prurito di
compassione. Sarebbe bene coltivar la pazzia, in fondo. Travasarla
quando necessario, lasciare che adorni il nostro balcone insieme a
gerani e basilico. O magari un po' occultata, non importa, va bene
anche accanto alla piantina di Maria, basta curarla di tanto in
tanto.
Prendere a pugni lo specchio del nostro
ego e raccoglierne ogni giorno un frammento differente per notare le
sfumature deformate del nostro corpo e delle nostre convinzioni: bum
bum bum.
Scrivere senza perdere il controllo
significa schiavizzare i personaggi, impedire loro che ti sussurrino
all'orecchio "No, quest'azione non la voglio fare",
divenire il dittatore del foglio bianco che per contro inchioderà
definitivamente in due dimensioni le tue idee scopiazzate, non
lasciando spazio al lettore per interpretarle come meglio crede. Tipo
quei libri che si leggono mentre si pensa ad altro: un quarto d'ora
di Dan Brown è un'azione ben poco differente dal guardare Beautiful
mentre si sta stirando.
A volte ci ho anche provato, invidiavo
chi confessava che aveva il suo progetto ben definito in testa: com'è
possibile ch'io invece non sappia manco cosa preparare a cena? «Ciao,
sei al primo libro? Anche io. Stavo pensando a un fantasy, mi mancano
due capitoli. Sono cento in tutto, cioè devo ancora scriverlo ma ho
tutto in testa, so già tutto.» (Ma va' a caghé, burik).
Ho preso un foglio A2 scrivendoci le
azioni di un personaggio del prossimo romanzo, ho scritto "fa
questo fa quello va lì dice così pensa incontra..." col
risultato che quando ho provato a scrivere ho lasciato un paio di
volte il foglio in bianco per poi imbrattarlo con frasi che una volta
rilette non centravano nulla coi paletti iniziali.
E per fortuna.
I personaggi dei romanzi sono come
l'amore, volatili e improgrammabili.
Quando ho iniziato a scrivere Per
Adesso No avevo in testa la scena di un nazista sui quarant'anni che
continuava ad alitare sull'aquila del cappello e si sistemava i
bottoni della giacca davanti allo specchio. Muoveva i polsini, si
avvicinava a controllare i peli del naso. Da lontano voci confuse,
soldati americani che tentavano di profanare la magione. La guerra
era persa, un'auto lo aspettava per la fuga eppure la maggior
preoccupazione di quell'uomo senza nome era di lisciarsi la camicia.
Sicuro che da quell'immagine sarebbe
partito un discorso mentale, magari ci sarebbe stato uno scontro
prima che terminasse il capitolo. Non mi è dato sapere: l'idea in
testa, una volta che è partita la mia mano (come cantava
Lucio), si è plasmata in tutt'altro.
Chi crea ha l'occasione di elevarsi,
per un variabile periodo di tempo, ad Architetto di Matrix.
Magari sei lì con le mani infarinate e
il grembiule sudicio con l'indecisione se aggiungere o meno un
pizzico di cumino al pranzo, così preso dalla creatura che guardando
dalla finestra ti vien da pensare «Ma come, il mondo non si è
fermato a osservarmi?»
La verità è che quando crei qualcosa
agli altri non interessa affatto, eppure percepisci la necessità di
farlo ugualmente; in più ti dimentichi pure, quando invece per
paradosso in molti sostengono che chi crea lo fa per vantarsi. Bah.
Sì, certo, pure agli artisti non piace
sentire il brontolio del proprio stomaco, e che caspita.
È solo che la creazione finalizzata al
guadagno non è priorità, dubito che l'inventore del denaro fosse
anche un poeta.
Frammentarsi e disperdersi per capire
se stessi, dunque.
In tutto questo marasma una cosa la ben
so: scoprire di vendere un centinaio di copie del romanzo al giorno o
leggere una cifra maggiorata sulla busta paga non mi renderebbe
affatto più ricco di quando la notte mi sveglia l'improvviso
ronronron di Zooey.
Giochiamo a masturbarci il cervello con
discorsi sulla meccanica quantistica a metà tra Focus e Mistero ("Da
qualche parte nel multiverso esiste un altro me ricco felice e
realizzato", "50 km sotto la crosta di una luna di Saturno
esiste l'acqua, potremmo trasferirci", "L'Omino Bianco del
detersivo è nero, coincidenze? Io non credo" ) o dicendo
che a ogni stretta di mano ci scambiamo milioni di elettroni, ma la
verità è che miliardi di cellule assemblate non ci hanno reso
affatto complicati; anche se il non avere risposte o il non cercare
di evolvere ci dovrebbe rendere inquieti, basta un sorriso o il
calore di una gatta acciambellata per sentirsi in pace con
l'universo.
Per il resto c'è tempo, magari domani,
sì.
"Non sono niente.
Non sarò mai niente.
Non posso volere essere niente.
A parte ciò, ho in me tutti i sogni
del mondo."
P.s. E non usate la scusa delle cento
copie per evitare l'acquisto del romanzo eh ;-), scendi di una riga, clicca sul link!
Neanch'io credo molto a chi sostiene di programmare un romanzo, a quelli che iniziano con schemi e trame. Spesso scrivere è come lanciarsi da un precipizio, non conosci i danni che ti farai cadendo e cosa troverai sul fondo.
RispondiEliminaGià, L.
EliminaMettiamola così: se si trova qualcosa sul fondo perlomeno implica il fatto di essere sopravissuti all'impatto, anche se l'annuncio che mi hai fatto leggere sulla proposta di ghostwritin' mi lascia perplesso..
A parte che citando Pessoa mi conquisti già a priori, però credo proprio che tu abbia ragione. Alla fine scriviamo, e quello che ci accade intorno non riesce ad intaccare l'emozione di essere lì, in quel momento, con quell'inconsapevolezza della pagina davanti. E' un qualcosa che accade dentro di noi, e la tiriamo fuori per provare a capirci qualcosa. O forse la tiriamo fuori senza motivo, solo perché è quello che ci sentiamo di fare. In ogni caso, penso che solo chi è dotato di una certa umiltà, solo chi è disposto a mettere in discussione il suo punto di vista possa riuscire a scrivere qualcosa che valga la pena di leggere. E beh, è una bella sfida, Liuk :)
RispondiEliminaIl ronronron della micia, acciambellata accanto (o addosso!) è quanto di più terapeutico io conosca.
RispondiEliminaI miei mici curano la mia insonnia a ritmo di ronronron