domenica 6 aprile 2014

ARCHITETTI, FARINA, STRINGHE E FRAMMENTI.

"È necessario credere
Bisogna scrivere
Verso l'ignoto tendere
Ricordati Baudelaire"

Quando decide di soddisfare un'urgenza scrivendo un romanzo, lo scrittore impersonifica per intero la scena iniziale di Inglorious Bastards, dove l'idea è il cumulo di polvere in avvicinamento dell'auto carica di nazisti (le Regole) e lo scrittore è un rude contadino seduto al tavolo della cascina.
Ma è anche una graziosa ragazza (la Forma), è anche un buonissimo latte (i Dettagli), è anche un insieme di rifugiati nello scantinato (Figure Retoriche, Frasi Fatte, Razionalità), è anche una azione violenta (il Filo Logico), è anche un discorso pacato (i Personaggi) e include pure la fuga finale (il Subconscio).
Si perde il controllo, così come l'onanista l'architetto o lo chef; ci si dimentica, ci si abbandona alla mano che è una mente a sé, il corpo controllato da una sorta di fasullo stand-by. Se lo scrittore è bravo e fortunato, a volte accarezza pure l'idea di esser regista.


È lo scopo finale che continua a sfuggirmi.
Compiere azioni per comprendersi, quando in fin dei conti "La vita è un viaggio inspiegabile fatto involontariamente" (diceva Pessoa).
Credo che un ottimo allenamento per capirsi sia perdersi, allentare le cinture dell'autocontrollo.
Ho sempre diffidato da chi ha tutto – almeno così crede – sottocontrollo; passiamo buona parte della vita regolando all'ingiù l'asticella della pazzia per non perdere credibilità di fronte agli altri ("Mi piacerebbe tanto indossare quel cappotto giallo, ma meglio di no, chissà cosa direbbe la gente..."), eppure ogni volta che riconosco chi non si concede un break dalle regole mi prende sempre quel prurito di compassione. Sarebbe bene coltivar la pazzia, in fondo. Travasarla quando necessario, lasciare che adorni il nostro balcone insieme a gerani e basilico. O magari un po' occultata, non importa, va bene anche accanto alla piantina di Maria, basta curarla di tanto in tanto.
Prendere a pugni lo specchio del nostro ego e raccoglierne ogni giorno un frammento differente per notare le sfumature deformate del nostro corpo e delle nostre convinzioni: bum bum bum.
Scrivere senza perdere il controllo significa schiavizzare i personaggi, impedire loro che ti sussurrino all'orecchio "No, quest'azione non la voglio fare", divenire il dittatore del foglio bianco che per contro inchioderà definitivamente in due dimensioni le tue idee scopiazzate, non lasciando spazio al lettore per interpretarle come meglio crede. Tipo quei libri che si leggono mentre si pensa ad altro: un quarto d'ora di Dan Brown è un'azione ben poco differente dal guardare Beautiful mentre si sta stirando.
A volte ci ho anche provato, invidiavo chi confessava che aveva il suo progetto ben definito in testa: com'è possibile ch'io invece non sappia manco cosa preparare a cena? «Ciao, sei al primo libro? Anche io. Stavo pensando a un fantasy, mi mancano due capitoli. Sono cento in tutto, cioè devo ancora scriverlo ma ho tutto in testa, so già tutto.» (Ma va' a caghé, burik).
Ho preso un foglio A2 scrivendoci le azioni di un personaggio del prossimo romanzo, ho scritto "fa questo fa quello va lì dice così pensa incontra..." col risultato che quando ho provato a scrivere ho lasciato un paio di volte il foglio in bianco per poi imbrattarlo con frasi che una volta rilette non centravano nulla coi paletti iniziali.
E per fortuna.
I personaggi dei romanzi sono come l'amore, volatili e improgrammabili.
Quando ho iniziato a scrivere Per Adesso No avevo in testa la scena di un nazista sui quarant'anni che continuava ad alitare sull'aquila del cappello e si sistemava i bottoni della giacca davanti allo specchio. Muoveva i polsini, si avvicinava a controllare i peli del naso. Da lontano voci confuse, soldati americani che tentavano di profanare la magione. La guerra era persa, un'auto lo aspettava per la fuga eppure la maggior preoccupazione di quell'uomo senza nome era di lisciarsi la camicia.
Sicuro che da quell'immagine sarebbe partito un discorso mentale, magari ci sarebbe stato uno scontro prima che terminasse il capitolo. Non mi è dato sapere: l'idea in testa, una volta che è partita la mia mano (come cantava Lucio), si è plasmata in tutt'altro.
Chi crea ha l'occasione di elevarsi, per un variabile periodo di tempo, ad Architetto di Matrix.


Magari sei lì con le mani infarinate e il grembiule sudicio con l'indecisione se aggiungere o meno un pizzico di cumino al pranzo, così preso dalla creatura che guardando dalla finestra ti vien da pensare «Ma come, il mondo non si è fermato a osservarmi?»
La verità è che quando crei qualcosa agli altri non interessa affatto, eppure percepisci la necessità di farlo ugualmente; in più ti dimentichi pure, quando invece per paradosso in molti sostengono che chi crea lo fa per vantarsi. Bah.
Sì, certo, pure agli artisti non piace sentire il brontolio del proprio stomaco, e che caspita.
È solo che la creazione finalizzata al guadagno non è priorità, dubito che l'inventore del denaro fosse anche un poeta.
Frammentarsi e disperdersi per capire se stessi, dunque.
In tutto questo marasma una cosa la ben so: scoprire di vendere un centinaio di copie del romanzo al giorno o leggere una cifra maggiorata sulla busta paga non mi renderebbe affatto più ricco di quando la notte mi sveglia l'improvviso ronronron di Zooey.


Giochiamo a masturbarci il cervello con discorsi sulla meccanica quantistica a metà tra Focus e Mistero ("Da qualche parte nel multiverso esiste un altro me ricco felice e realizzato", "50 km sotto la crosta di una luna di Saturno esiste l'acqua, potremmo trasferirci", "L'Omino Bianco del detersivo è nero, coincidenze? Io non credo" ) o dicendo che a ogni stretta di mano ci scambiamo milioni di elettroni, ma la verità è che miliardi di cellule assemblate non ci hanno reso affatto complicati; anche se il non avere risposte o il non cercare di evolvere ci dovrebbe rendere inquieti, basta un sorriso o il calore di una gatta acciambellata per sentirsi in pace con l'universo.
Per il resto c'è tempo, magari domani, sì.

"Non sono niente.
Non sarò mai niente.
Non posso volere essere niente.
A parte ciò, ho in me tutti i sogni del mondo."


P.s. E non usate la scusa delle cento copie per evitare l'acquisto del romanzo eh ;-), scendi di una riga, clicca sul link!

4 commenti:

  1. Neanch'io credo molto a chi sostiene di programmare un romanzo, a quelli che iniziano con schemi e trame. Spesso scrivere è come lanciarsi da un precipizio, non conosci i danni che ti farai cadendo e cosa troverai sul fondo.

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    1. Già, L.
      Mettiamola così: se si trova qualcosa sul fondo perlomeno implica il fatto di essere sopravissuti all'impatto, anche se l'annuncio che mi hai fatto leggere sulla proposta di ghostwritin' mi lascia perplesso..

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  2. A parte che citando Pessoa mi conquisti già a priori, però credo proprio che tu abbia ragione. Alla fine scriviamo, e quello che ci accade intorno non riesce ad intaccare l'emozione di essere lì, in quel momento, con quell'inconsapevolezza della pagina davanti. E' un qualcosa che accade dentro di noi, e la tiriamo fuori per provare a capirci qualcosa. O forse la tiriamo fuori senza motivo, solo perché è quello che ci sentiamo di fare. In ogni caso, penso che solo chi è dotato di una certa umiltà, solo chi è disposto a mettere in discussione il suo punto di vista possa riuscire a scrivere qualcosa che valga la pena di leggere. E beh, è una bella sfida, Liuk :)

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  3. Il ronronron della micia, acciambellata accanto (o addosso!) è quanto di più terapeutico io conosca.
    I miei mici curano la mia insonnia a ritmo di ronronron

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