mercoledì 8 ottobre 2014

KATHMANDU PENSACI TU parte 1 di 2

Ci sono viaggi che scelgono te e non viceversa, o più sinteticamente "c'è pane e Pane", come ripete da tempo rincobanderas.
C'è un lavoro che pare più un trascinarsi verso la fine del mese accontentandosi di una busta paga e del solito comunicato in bacheca stile "Non vi preoccupate la valuta partirà da... sicuri della vostra comprensione...",
c'è uno specchio che al mattino prima di riflettere l'immagine di me con lo spazzolino in bocca si appanna per comporre scritte del tipo "Sicuro di voler vedere lo scempio?",
c'è una gatta che quando preparo la tisana della buonanotte accartoccia la bustina e me la lancia, con l'espressione che fa tanto "Dai liuk, gioca un po' tu ora, ne hai bisogno",
c'è un telefono che resta più spento che altro,
c'è un secondo romanzo che si sta incartando su una dei tre protagonisti e mi fa dannare,
c'è un agosto trascorso in ufficio a far chissàcheccosa,
c'è una bocca che continua a essere amara e piena di saliva, da chiedermi "Ho la rabbia?", da chiedermi "Sputo saliva o sputo sentenze?", da chiedermi "Ho bisogno di una vacanza?", da rispondermi "Sì - Non so - Sì."
Vacanze, quindi.
Vacanza del tipo che non torni più, o meglio: ritorni a casa così differente che è come se l'io della partenza fosse rimasto laggiù e al suo posto si fosse presentato un clone verosimile.
C'è pane e Pane, dunque.
E c'è viaggio e Viaggio.
Il mio si chiama Kathmandu, Nepal.
Una di quelle città che solo a pronunciarle mi si riempiono gli occhi.
E da profano, non posso fare altro che ricopiare le stupidaggini scarabocchiate sul moleskine,
io che di induismo e buddhismo so quasi nulla,
io che a malapena so collocarlo il Nepal e mi limito ad adorare le parole che non finiscono con una vocale,
io che del Nepal conosco più che altro la diceria sull'erba che cresce per la strada,
io che quando ho letto "Il fuso orario è tre ore e quarantacinque minuti" ho pensato "Ma tu guarda, s'è fatto tardi."
E allora, si parte. Vediamo che succede.


1
Arrivo a Bodnath, dove c'è uno stupa gigantesco. Ah sì, un'ora dopo l'atterraggio già imparo una parola: stupa. È una costruzione con raffigurato lo sguardo del Buddha su tutti i lati, almeno credo. Dovrebbe essere un monumento spirituale. All'interno mi pare di capire che non ci si entra ma bisogna girarci intorno in senso orario e farsi trasportare dalle preghiere. Ancora ci capisco poco, quel tipo di poco che più ti sforzi e meno comprendi. Forse il segreto è proprio questo: lasciare inizialmente il razionale da parte.
Liuk, ricorda: l'uomo era già saldamente attaccato alla terra ben prima di conoscere l'esistenza della gravità.
Il Nepal mi accoglie così, tra rumori di campane, preghiere e aerei a disturbare il tutto, moderni serpenti che offrono dall'alto le mele occidentali della vanità.
Scopro che il Dalai Lama quando disegna il Mandala sul pavimento col riso (altro termine nuovo: è un cerchio della vita, da quel che sto capendo nelle prime ore) alla fine della cerimonia getta i chicchi al fiume. Significa che non siamo nulla, mi dicono. Faccio di sì con la testa, scatto una fotografia e resto in silenzio, notando un monaco tibetano estrarre l'iPhone da sotto la sua veste. E che cavolo, pure lui ce l'ha, dovrò farmi delle domande.


2
Entro in un tempio induista con tanto di scritta Please Mind Your Head e taaack!, capisco subito che il Nepal non sarà raccontato dall'occhio della macchina fotografica o dalla raccolta di sillabe che continuo a gettare nel diario. Roba che rischio una storta ogni treperdue ma le sensazioni sono incessanti, in questo luogo. Non solo foto o parole, dicevo. È un insieme ulteriore di suoni, di odori.
Chiudo gli occhi e mi immergo. Il ricordo a occhi chiusi elimina il superfluo, non resta che aspettare. Il Nepal, come me, è un diesel. Bene.



3
Ho raggiunto il luogo delle pire, lo chiamano la Varanasi del Nepal e presto intuisco il motivo.
Il fumo denso brucia gli occhi ma devo vedere meglio lo stesso, sono arrivato da poco e da occidentale medio tendo a considerare la vista come il senso più importante. Se non vedo non esiste, fingendo di ignorare che gli occhi scorgono solo il passato. Per dire: vediamo il sole tramontare quando è già tramontato da qualche tempo. Sono sicuro che a fine viaggio qualcosa imparerò, son preso bene. Comunque, dicevo: i corpi vengono lavati – vabbe', dire lavati in un fiumiciattolo sporco forse è una esagerazione... - prima di essere ricoperti da più strati di un qualche tessuto e ogni tanto sulla pancia noto che poggiano qualcosa tipo carbone, non sono sicuro. Alla fine il corpo rimane una sorta di bozzolo, scorgo solo il viso del defunto. A bocca aperta. 
"Come mai?", mi domando. Il corpo viene poi deposto sulla pira e, mi hanno raccontato, il primogenito darà inizio alla cremazione. Con una torcia brucerà il cadavere. Dalla bocca, appunto. Dalla bocca, caspita.
Ci vogliono circa tre ore affinché non resti altro che cenere, mi informano. Ogni tanto sento dei crepitii e immagino siano intestini e ossa che sfrigolano da sotto gli strati di legna. Non riesco a smettere di guardare e non vorrei guardare allo stesso momento, mi sento in parte Alex DeLarge in piena Operazione Beethoven, ma senza costrizioni.
Scopro che gli induisti venerano circa 33 milioni di divinità e per la prima volta, guardando ancora le pire infuocate e le baracche in lontananza dei cannibali (cannibali sul serio intendo, si tratta di asceti che vestiti di nero escono di notte per cibarsi dei cadaveri. Secondo loro nutrendosi di quella carne possano ampliare anche le anime, o qualcosa del genere) inizio a credere che non sia tutto poi così assurdo. 
Non per uno che in fondo teoricamente alla domenica dovrebbe ingerire senza masticare il corpo di Cristo.
Il fiume è collegato al Gange, i rimasugli verranno gettati e lo raggiungeranno.
"Molti nepalesi vivono però in montagna, sopra i 4mila metri, come possono raggiungere in tempo il paese prima che i morti si decompongano?" Altra domanda.
"Li tagliano a pezzi e lasciano che gli uccelli facciano il loro corso."
"Ah, ok."
Mi viene in mente che qualcosa del genere l'avevo letto in un libro di Tiziano Terzani e d'improvviso un senso di sacralità al tutto mi quieta. 
Fanno sparire il corpo proprio come quel Mandala di riso del Dalai Lama, forse è questo il senso? 
Con questa domanda abbandono le pire, con in testa l'assurda scoperta che l'odore dei morti è decisamente più sopportabile del sudore dei vivi nel tram o al cinema.


4
Di fronte ho una statua adagiata sull'acqua che rappresenta Vishnu in una delle sue innumerevoli rappresentazioni, Narayan. Quando ho sentito pronunciare Narayan m'è venuto in mente un vecchio brano dei Prodigy, da quanti secoli non li ascolto più! Inizio a comprendere che quei 33 milioni di divinità sono per buona parte varie rappresentazioni di Vishnu e Shiva. Il secondo è bello tosto e guerrigliero e ha una moglie di nome Parvati, che a sua volta possiede varie incarnazioni più o meno battagliere tra cui Kali. Ci capisco ancora pochissimo ma ogni passo è sempre più fermo e deciso, mi piace il senso che trasmette questa terra.
La statua che ammiro sarà lunga circa 5 metri, sopra di essa due bambini la stanno truccando e attorno una fila di fedeli con le ciotole piene di fiori e riso (mi pare) sono in attesa che sia pronta per i loro doni. È pieno di serpenti giganti che sostengono Narayan e la musica che sento arrivare da chissà dove mi pare pronunci il nome di Krishna, ma anche in questo caso non sono consapevole del senso. Non importa. Chiudo gli occhi ascoltando il suono delle litanie in loop e immagino la giornata che mi si prospetta. Ho una visione, dopo aver fissato il bracciale a forma di serpente su uno delle braccia della divinità: sangue, sangue, dolore infinito e sofferenza. E mentre le mie membra vengono strappate, prende piede la consapevolezza che tuttò sarà più armonioso, dopo. E poi ancora. Se vedessi volare in questo momento un'araba fenice non mi stupirei affatto. A patto che sappia riconoscerla, intendo.

5
Primi giorni in Nepal e già sto perdendo del tutto quel poco interesse che avevo nel fotografare me, sono poco renzi per fortuna. Giusto un paio e stop. Non so, non ha senso.
È tutto così impregnato di tutto che tutto non ha senso.
E cosa significa il proprio corpo schiacciato bidimensionalmente in una foto, per dimostrare che cosa, a chi? Io, per quanto l'io stia evaporando in Nepal, so di essere qui ora adesso. Mi sento molto George Harrison a passeggio per la Freak Street di Kathmandu, è una sensazione decisamente da yeah. Chissenefrega delle mie foto, certe cose le ricorderò comunque e se la gente non ci crederà, pazienza.

6
Nepal. Se è vero che da ogni viaggio non si torna mai del tutto, questo è ancora differente. Perché per tornare bisogna prima partire, e sì!, questa volta tra odori musiche e rappresentazioni di Vishnu... questa volta sono in viaggio per davvero.

7
Nella Durbar Square di Katmandu vive una dea, la Kumari. Mi fa strano essere così mal vestito di fronte a una dea. Avrà otto anni, forse meno. Si sta affacciando dal balcone, come un papa che non fa discorsi. C'è chi ride di ciò, chi la venera in silenzio. Tutto questo però per quanto mi riguarda non cambia le cose, in fondo la terra era tondeggiante anche quando la si credeva piatta. Lei è una dea, punto. E indirettamente mi ha guardato.

8
Sono finalmente giunto alla Freak Street e come da copione è la zona di Katmandu meno interessante; nessuna radio a tutto volume ad accogliermi coi Beatles o i Floyd, giusto qualche fattone, una ragazza italiana che ora abita a Varanasi col moroso e un ristorante dal nome Penny Lane. Brutto come le aspettative spesso ingannano. Le aspettative sono proiezioni di emozioni, non la realtà. Ma cos'è la realtà?



9
Da adolescente impazzivo per un gioco sulla PS2, Ico. Una poesia, forse qualcuno se ne ricorda.
Era pressappoco la storia di un ragazzo maledetto che doveva prendersi cura di una fata e ogni volta che i due si muovevano non lo facevano autonomamente ma si tenevano per mano.
Vagolando per la città m'è tornato in mente questo: molti ragazzi del posto camminano ancorandosi l'un l'altro come fossero cose preziose. È poesia pura, questa.
Ho chiesto il motivo, la risposta è che sono contenti di vedersi e non vogliono allontanarsi.
Già: la condivisione, che così tanto stride con l'individualità, la quale a sua volta stride con l'annullamente di sé. Questo paese mi appare come un continuo stridere le convinzioni, ma in tutto questo vedere due ragazzi in armonia fa bene al cuore, alla mente, o a quel che è.
Chissà cosa scriverebbero su twitter i nipotini di salvini se fossero qua. Ma poi, chissenefrega, meglio scordare in fretta il luogo di partenza.


10
Ho guardato Shangri-La negli occhi, l'ho appoggiata sulle ginocchia. E l'ho trovata amara. E l'ho ingiuriata, proprio come Rimbaud con la Bellezza.
Sento spesso parlare dell'inferno come di un luogo invisibile, espiatorio senza appello finale, di un luogo – appunto – infernale. Questo perché si dà per scontato che sia peggio dei luoghi terrestri.
La valle di Kathmandu è infernale, ecco.
Sembra che un qualche dio abbia rovesciato per dispetto uno scatolone di Lego, non posso credere che quelle siano davvero abitazioni.
Guardi gli occhi delle persone che infestano questi chilometri quadrati di latrine terre polverose cani spiaggiati motorini col clacson perpetuo e ti chiedi "Ma com'è possibile."
Shangri-La era un ipotetico punto di arrivo, ma ciò che sto compiendo non lo è.
È un passaggio, un iter.
Il viaggio lo si compie e dura una vita, lo si compie alla ricerca di sé. Per questo non potevo pretendere fosse la meta. È un passaggio: bello, doloroso, necessario. Un iter, appunto. Uno di quelli che più di altri necessita di essere ruminato; per anni, chissà.
In fondo, cos'è il tempo?
Lo cantavano gli Ustmamò: "Che cos'è l'eternità / se gli anni ottanta eran tanto tempo fa?"


11
Oggi ho meditato. Letteralmente.
Sono entrato in un tempo buddhista (buddhisti, induisti, qua la tolleranza è di casa).
Insomma, ero seduto coi monaci, entrando in punta di piedi perché non mi reputo mai un turista ma allo stesso modo non riesco a trovarmi agiato in alcun luogo. Sono stato lì dapprima seduto in silenzio ad ascoltarli, col gong incessante vibrato da un bambino che lentamente ha preso sincronia con la mia cassa toracica.
Cos'è il tempo, dicevo.
Il suono ha iniziato a partire da dentro, è scattato un qualche cosa che a freddo proverò a interpretare. Poi è accaduto un altro fatto.
Una stronzata, per chi leggerà, ma non sono forse le stronzate a tenerci aggrappate alla vita?
Ho avuto la sensazione d'esser entrato in sintonia con l'ambiente, con l'aria che vibrava nella stanza, tanto che dopo un'ora la meditazione è terminata e un monaco ha fatto cenno che per oggi era abbastanza. Ripeto, è una stronzata, ma vedere un monaco terminare prima di me rimarrà un ricordo che mi terrò caro per tutta la vita (probabile che quello fosse per lui un semplice riscaldamento ma a essere importante è stato il gesto, of course).
Un pomeriggio mistico, per quanto questo aggettivo sia solo al primo stadio, per me. Mistico.
Ho meditato coi monaci, per la miseria! 
E mi sento bene; mi guardo i kanji tatuati sul braccio e sorrido. Appartengono a una vita fa, una vita in cui ero me stesso ed ero colui che non ricordo.

"Chi volli essere mi dimentica
Chi sono non mi conosce"
recitava il buon Pessoa.

È incredibile come certe frasi imparate secoli fa d'improvviso prendano nuovi significati.
La via verso la conoscenza: non è in fondo questo, il senso della vita?
E se trovassi – o meglio: se qualcuna mi sopportasse – la persona con cui condividere il cammino, non sarebbe più semplice? O forse rimarrei condizionato?
Inizio a credere sempre meno nel verbo avere, assaporando il Nepal mi pare più una limitazione che altro. O forse lo sono i verbi, tutti. Chissà cosa ne direbbe Siddharta. Che tra l'altro qua è raffigurato magro, non come quei bonzoni dorati che si trovano dalle altre parti. Ma ho tempo di riempire le lacune, quando vorrò sapere. Per ora mi limito a osservare.



12
"Avere" è un verbo
"Amore" è un sostantivo
"Tu" è un soggetto
"Io" – senza te – non sono.


13
È tutto troppo presto, troppo veloce.
Un po' come giungere all'illuminazione e rimanere scottato.

14
Un villaggetto, credo Bungamati.
Una ragazza splendida cammina.
Io cammino in direzione opposta.
Ci sorridiamo.
Lei, sotto l'ombrello a ripararsi dal sole, è bellissima.
Io fumo distaccato e indosso la t-shirt blu di Neil Young quindi sono figo di riflesso.
Tre passi - non di più - e ho la necessità di voltarmi, non che stia sognando!
Pure lei ha avuto lo stesso pensiero e ci sorridiamo ancora.
La vita è magnifica. E pure io, quando una persona mi sorride.
...
La leggenda narra che a quel punto Liuk fece tre passi verso di lei e dal nulla comparve un intruso chiedendo al nostro eroe se gli andasse di scambiare una sua sigaretta nepalese con una camel. L'eroe accettò più per cortesia che altro e quando la accese si accorse che della dea non c'era più traccia.
Il Nepal è anche questo, mi sa. Un viavai di dee e scambiatori di sigarette nazionali marcate Surya.

[CONTINUA...] 


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