mercoledì 29 ottobre 2014

ON WRITING.



Il mio cellulare – così antiquato da non riconoscere neppure col T9 il termine app, per dirne una – ogni volta che cade resetta la data al giorno in cui è stato acquistato.
Oggi sul display indica fiero 27 may 2011, eppure il calendario ha un puntino rosso su Santa Ermelinda, 29 ottobre 2014.
Io mi sento a metà strada, non a due giorni da Halloween, a due giorni dal mio trenta(+X)esimo compleanno.
L’unica volta che ho scritto un qualcosa sul 31 ottobre ero diciannovenne, una vita fa. Allora era tutto differente, avevo una musa ispiratrice e le parole, quelle poche che conoscevo, sgorgavano senza fatica; anche ora ho la Musa, ma non mi si fila di striscio, non ha il mio numero di telefono, indossa parrucche attira-quarantenni, l’ho vista un pomeriggio appena e se camminassi tra la folla non mi riconoscerebbe. Roba da trallallà.
Ho imparato però qualche termine in più, nel frattempo.
Esacerbare, per esempio. Che per la cronaca significa ‘profondo malessere’, ‘inasprirsi’, o giù di lì.
Ma non per lei o per il compleanno o per i graffi di Zooey quando dormendo la sposto da sopra la mia pancia: insomma, in questi ultimi anni un po’ di ricerche sul significato dello scrivere le ho compiute, qualcosina credo di aver afferrato col retino delle buone intenzioni.
L’amarezza sta nel non riuscire ancora a cogliere il Disegno, nel non comprende come sia possibile che la stragrande maggioranza di chi scrive lo fa per sentirsi dire ‘bravo/a’ e non per scuotere l’albero della coscienza di chi legge.
Ah, un’altra parola che mi piace è: Disarmante.
Pure alla Musa garba, ne sono sicuro.
Dicevo: l’obiettivo dello scrivere.
Che è un po’ una domanda cretina quando te la pongono: “Perché scrivi?” è come chiedere a un rocker “Perché suoni?” o a Bolt “Perché corri?”
In quel caso estrai la risposta in politichese da aria fritta oppure ricicli un qualsiasi aforisma trito e ritrito, col timore che pure moccia o volo l’abbiano già scopiazzato nei loro cosi rettangolari in libreria.
Meglio il silenzio o la faccia da triglia, in definitiva. O rispondere “Perché bisogna pur vergognarsi di qualcosa no?” Di solito funziona.
Quando invece te la poni da solo cambiano le prospettive: perché scrivi, qual è il tuo obiettivo?
Per ampliare l’ego, per sostituire la fama alla fame, per il conto corrente, per fingere di avere in testa più idee che capelli bianchi?
La verità è che nonostante i millemila libri sull’argomento, non esiste alcun Sutra del Loto riguardante la scrittura. Amen.
Per quel poco che ne so la risposta è mutevole, ogni giorno io come tutti sono differente.
Le cellule del nostro corpo nascono e muoiono in continuazione, le convinzioni di quando eravamo bambini sono probabilmente evaporate col passare delle stagioni.
A quattordici anni, per il mio primo concerto indossavo il gilet dei Guns ‘n Roses con tanto di bandiera americana, ora lavoro per i russi. E non stravedo per entrambi, tra l’altro, ma tant’è.
All’alba dei miei trenta&qualcosa anni, il perché scrivo è ancora da definire per bene ma l’obiettivo è chiaro: esistono possibilità infinite nascoste tra le sfumature di ciò che viviamo, baby. Perché limitarsi al sentito dire?
Ci stiamo scavando una fossa di blablabla faicosì faicosà questosì questono blablabla e nemmeno ricordiamo chi è stato a passarci la pala. Proseguiamo a scavare per inerzia e più ci inabissiamo più cresce la convinzione che “Toh!, ma tanto cosa mi impegno a fare, il cielo e la felicità sono troppo distanti..”
Credo sia questa la missione dello scrittore: dare alla nostra vita, attraverso parole e immagini, un paio di occhi nuovi. Ravvivare i sensi, fare un bagno turco all’anima.
(Che ne so, quando ho visto la Musa per la prima volta c’era un ragazzetto che per due ore è restato seduto di fronte a lei mentre io le ero accanto e non la guardavo direttamente eppure potrei descrivere almeno dieci dettagli più di chiunque altro lì presente su come lei stava modificando l’ambiente attorno così, subito, dal  modo in cui inclinava il foglio a come arricciava la foglia, da come si spostava sulla sedia allo sguardo che vagolava oltre verso il prato, nessun problema. E tutto ciò grazie ai libri letti - oltre alla sua bellezza e ai maledetti feromoni, of course.)
È questa la missione, che detta così oh yeah fa molto Blues Brothers, dell’imbrattare moleskine o file .doc e .docx.
Donare al lettore due fottutissimi occhi nuovi, da mettere nel taschino nel portafogli o nella borsetta Desigual dopo che la lettura è terminata e si è pronti nuovamente ad affrontare la vita.
Sarà gratificante, quando ci riuscirò. Ma la realtà è che della gratifica me ne frega zero, lo si fa perché si deve. Punto. Stop. Il resto sono numeri da classifica su Amazon o articoli autoreferenziali scritti con l’inchiostro simpatico a pagina settecentocinquantadue de La Stampa.
Sì ok farebbe anche piacere scoprire che PER ADESSO NO è al primo posto su Bookrepublic – a proposito, fino al 10 novembre LibroMania mi ha lanciato in promo a € 1.49 – ma un sorriso un commento o un pensiero che sgorga sulle labbra del lettore vale infinitamente di più.
Cosa dovrebbe fare – sempre secondo me sia chiaro - il buon scrittore quindi?
Beh, immaginatevi New York qualche anno fa durante l’11 settembre, per dirne una.
Da un qualche grattacielo in linea coll’imminente doppio crollo c’è una persona alla finestra che osservando inerme la scena ingloba in pochi istanti tutte le sensazioni orribili di una vita, al punto da chiedersi il senso di continuarla.
Ma quel paio di occhi nuovi se ne fregano, incorporano il grandangolo e lo zoom, mettono a nudo l’ambiente attorno per intero senza limitarsi al centro dell’attenzione, spostano il focus continuamente proponendo in ogni istante infinite variabili sull’interpretazione della vita.
E quando il lettore scoprirà le memorie di quello scrittore non potrà fare a meno di emozionarsi, stupito di come lui stesso non abbia notato certi dettagli – “Ed erano lì!, sotto il naso!”
Finito il racconto, la vita di chi legge sarà comunque differente per un variabile periodo di tempo.
Mentre le torri crollavano, da qualche parte, a pochi isolati, l’osservatore è riuscito a scorgere con la coda dell’occhio il giovane arabo che col sorriso stava aiutando l’anziana newyorkese ad attraversare la strada, dopo averla notata in difficoltà nel trasportare il carrello della spesa. Che è una frase articolata e malscritta ma il senso è un po’ sempre quello che ci ha insegnato De Andrè: ‘Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior.’
Un racconto zeppo di quelle frasi che il lettore vuole leggere che senso ha? Non lascia nulla, è un po’ come ascoltare carloconti mentre si sta cenando.
Se sei un bravo scrittore riuscirai a far capire che tutto può essere il contrario di tutto, nei libri come nella vita.
Magari riuscirò in qualcosa del genere anch’io, o forse no. Uno ci prova, perlomeno.
Non è poi così importante se prima non decidiamo di posare la pala (possibilmente senza scattare un selfie nel frattempo..) e iniziamo a vedere le cose con occhi nuovi.
Un buon non compleanno a voi tutti.


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