Il
mio cellulare – così antiquato da non riconoscere neppure col T9 il termine
app, per dirne una – ogni volta che cade resetta la data al giorno in cui è
stato acquistato.
Oggi
sul display indica fiero 27 may 2011, eppure il calendario ha un puntino rosso
su Santa Ermelinda, 29 ottobre 2014.
Io
mi sento a metà strada, non a due giorni da Halloween, a due giorni dal mio
trenta(+X)esimo compleanno.
L’unica volta che ho scritto un qualcosa sul 31 ottobre
ero diciannovenne, una vita fa. Allora era tutto differente, avevo una musa
ispiratrice e le parole, quelle poche che conoscevo, sgorgavano senza fatica;
anche ora ho la Musa, ma non mi si fila di striscio, non ha il mio numero di
telefono, indossa parrucche attira-quarantenni, l’ho vista un pomeriggio appena
e se camminassi tra la folla non mi riconoscerebbe. Roba da trallallà.
Ho
imparato però qualche termine in più, nel frattempo.
Esacerbare,
per esempio. Che per la cronaca significa ‘profondo malessere’, ‘inasprirsi’, o
giù di lì.
Ma
non per lei o per il compleanno o per i graffi di Zooey quando dormendo la
sposto da sopra la mia pancia: insomma, in questi ultimi anni un po’ di
ricerche sul significato dello scrivere le ho compiute, qualcosina credo di
aver afferrato col retino delle buone intenzioni.
L’amarezza
sta nel non riuscire ancora a cogliere il Disegno, nel non comprende come sia
possibile che la stragrande maggioranza di chi scrive lo fa per sentirsi dire
‘bravo/a’ e non per scuotere l’albero della coscienza di chi legge.
Ah,
un’altra parola che mi piace è: Disarmante.
Pure
alla Musa garba, ne sono sicuro.
Dicevo:
l’obiettivo dello scrivere.
Che
è un po’ una domanda cretina quando te la pongono: “Perché scrivi?” è come
chiedere a un rocker “Perché suoni?” o a Bolt “Perché corri?”
In
quel caso estrai la risposta in politichese da aria fritta oppure ricicli un
qualsiasi aforisma trito e ritrito, col timore che pure moccia o volo l’abbiano
già scopiazzato nei loro cosi rettangolari in libreria.
Meglio
il silenzio o la faccia da triglia, in definitiva. O rispondere “Perché bisogna
pur vergognarsi di qualcosa no?” Di solito funziona.
Quando
invece te la poni da solo cambiano le prospettive: perché scrivi, qual è il tuo
obiettivo?
Per
ampliare l’ego, per sostituire la fama alla fame, per il conto corrente, per
fingere di avere in testa più idee che capelli bianchi?
La
verità è che nonostante i millemila libri sull’argomento, non esiste alcun
Sutra del Loto riguardante la scrittura. Amen.
Per
quel poco che ne so la risposta è mutevole, ogni giorno io come tutti sono
differente.
Le
cellule del nostro corpo nascono e muoiono in continuazione, le convinzioni di
quando eravamo bambini sono probabilmente evaporate col passare delle stagioni.
A
quattordici anni, per il mio primo concerto indossavo il gilet dei Guns ‘n
Roses con tanto di bandiera americana, ora lavoro per i russi. E non stravedo
per entrambi, tra l’altro, ma tant’è.
All’alba
dei miei trenta&qualcosa anni, il perché scrivo è ancora da definire per
bene ma l’obiettivo è chiaro: esistono possibilità infinite nascoste tra le
sfumature di ciò che viviamo, baby. Perché limitarsi al sentito dire?
Ci
stiamo scavando una fossa di blablabla faicosì faicosà questosì questono
blablabla e nemmeno ricordiamo chi è stato a passarci la pala. Proseguiamo a scavare
per inerzia e più ci inabissiamo più cresce la convinzione che “Toh!, ma tanto
cosa mi impegno a fare, il cielo e la felicità sono troppo distanti..”
Credo sia questa la missione dello scrittore: dare alla
nostra vita, attraverso parole e immagini, un paio di occhi nuovi. Ravvivare i
sensi, fare un bagno turco all’anima.
(Che
ne so, quando ho visto la Musa per la prima volta c’era un ragazzetto che per
due ore è restato seduto di fronte a lei mentre io le ero accanto e non la
guardavo direttamente eppure potrei descrivere almeno dieci dettagli più di
chiunque altro lì presente su come lei stava modificando l’ambiente attorno
così, subito, dal modo in cui inclinava
il foglio a come arricciava la foglia, da come si spostava sulla sedia allo
sguardo che vagolava oltre verso il prato, nessun problema. E tutto ciò grazie
ai libri letti - oltre alla sua bellezza e ai maledetti feromoni, of course.)
È
questa la missione, che detta così oh yeah fa molto Blues Brothers,
dell’imbrattare moleskine o file .doc e .docx.
Donare
al lettore due fottutissimi occhi nuovi, da mettere nel taschino nel portafogli
o nella borsetta Desigual dopo che la lettura è terminata e si è pronti
nuovamente ad affrontare la vita.
Sarà
gratificante, quando ci riuscirò. Ma la realtà è che della gratifica me ne
frega zero, lo si fa perché si deve. Punto. Stop. Il resto sono numeri da
classifica su Amazon o articoli autoreferenziali scritti con l’inchiostro
simpatico a pagina settecentocinquantadue de La Stampa.
Sì
ok farebbe anche piacere scoprire che PER ADESSO NO è al primo posto su
Bookrepublic – a proposito, fino al 10 novembre LibroMania mi ha lanciato in
promo a € 1.49 – ma un sorriso un commento o un pensiero che sgorga sulle
labbra del lettore vale infinitamente di più.
Cosa
dovrebbe fare – sempre secondo me sia chiaro - il buon scrittore quindi?
Beh,
immaginatevi New York qualche anno fa durante l’11 settembre, per dirne una.
Da
un qualche grattacielo in linea coll’imminente doppio crollo c’è una persona
alla finestra che osservando inerme la scena ingloba in pochi istanti tutte le
sensazioni orribili di una vita, al punto da chiedersi il senso di continuarla.
Ma
quel paio di occhi nuovi se ne fregano, incorporano il grandangolo e lo zoom,
mettono a nudo l’ambiente attorno per intero senza limitarsi al centro
dell’attenzione, spostano il focus continuamente proponendo in ogni istante
infinite variabili sull’interpretazione della vita.
E
quando il lettore scoprirà le memorie di quello scrittore non potrà fare a meno
di emozionarsi, stupito di come lui stesso non abbia notato certi dettagli –
“Ed erano lì!, sotto il naso!”
Finito
il racconto, la vita di chi legge sarà comunque differente per un variabile
periodo di tempo.
Mentre
le torri crollavano, da qualche parte, a pochi isolati, l’osservatore è
riuscito a scorgere con la coda dell’occhio il giovane arabo che col sorriso
stava aiutando l’anziana newyorkese ad attraversare la strada, dopo averla
notata in difficoltà nel trasportare il carrello della spesa. Che è una frase
articolata e malscritta ma il senso è un po’ sempre quello che ci ha insegnato
De Andrè: ‘Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior.’
Un
racconto zeppo di quelle frasi che il lettore vuole leggere che senso ha? Non
lascia nulla, è un po’ come ascoltare carloconti mentre si sta cenando.
Se
sei un bravo scrittore riuscirai a far capire che tutto può essere il contrario
di tutto, nei libri come nella vita.
Magari
riuscirò in qualcosa del genere anch’io, o forse no. Uno ci prova, perlomeno.
Non
è poi così importante se prima non decidiamo di posare la pala (possibilmente senza
scattare un selfie nel frattempo..) e iniziamo a vedere le cose con occhi
nuovi.
Un
buon non compleanno a voi tutti.
Nessun commento:
Posta un commento