Il
Japan mi ha regalato la concezione di straniero. Il sentirsi
inferiore agli occhi degli altri. Le occhiate di disprezzo, del
'vorremmo assomigliarti ma non ci riusciamo'. Vivere lo spazio
ristretto durante gli spostamenti in metropolitana attento a non far
rumore, a non risultare clandestino, fuoriposto. Rollare veloce una
sigaretta nella smockin' area di Shibuya e una volta accesa
accorgermi di essere l'unico occidentale e di avere più spazio
attorno rispetto agli altri, quasi che non volessero respirare lo
stesso fumo. In un negozio immenso di manga, nei pressi del quartiere di Akihabara, mentre mi accorgo di sfogliare pagine a casaccio l'istinto mi dice di non fissare nessuno negli occhi. Gli occhi, certo. Disegnano i personaggi con quegli occhioni grandi che solo Tim Burton s'azzarda a competere nei suoi lungometraggi; l'impressione è che -ahiloro!- vorrebbero assomigliare agli occidentali e questo mi lascia perplesso, non tanto per il voler essere qualcosa d'altro - quello in fondo capita più o meno spesso di pensarlo - ma perché ripensando veloce a un paio di idoli venerati durante l'adolescenza continuavo a sfogliare i fumetti e pensavo a roberto baggio e bud spencer e dire che sono diventati famosi per le loro occhiate mi pare fuoriluogo. Meglio che in Japan queste cose non le vengano a scoprire, i mangaka andrebbero in rovina. Piuttosto.
Il
sorriso dei Jap è tutt'altra cosa rispetto al namasté nepalese, è
come se un seguace di Dalì avesse ridisegnato le loro facce
dividendole in orizzontale: quando la bocca si esprime in un saluto
servile gli occhi ti lanciano occhiate come se avessi impiccato i
loro cani, stuprato le figlie o rigato la Wii.
Il
Japan è quella terra di mezzo tra l'ucronia di Orwell e la
psichedelia di Willy Wonka.
Soprattutto a Tokyo, così oggettivamente futuristica, ho avuto l'impressione di non trovarmi in mezzo a persone quanto piuttosto bande di avatar, bipedi creati su second life che da pixel si sono fatti carne e vagano per i quartieri - chi vestito in doppiopetto chi vestito da sailor moon - alla ricerca di azioni o bonus nascosti per passare di livello.
Soprattutto a Tokyo, così oggettivamente futuristica, ho avuto l'impressione di non trovarmi in mezzo a persone quanto piuttosto bande di avatar, bipedi creati su second life che da pixel si sono fatti carne e vagano per i quartieri - chi vestito in doppiopetto chi vestito da sailor moon - alla ricerca di azioni o bonus nascosti per passare di livello.
Detto
questo: una volta scremata la concezione lisergica&fascistoide
degli uomini, del Japan risalta il regno animale, storico e animista.
Sono
gatti volpi e corvi i veri padroni dell'arcipelago.
Sono
i ciliegi i veri pilastri della nazione.
L'uomo,
quello per fortuna passerà e di tutta l'energia utilizzata nella
perpetua sfida tra Tokyo e il buio notturno (la capitale
all'imbrunire si traveste da Principessa Elettrica) non resterà che
un ricordo primaverile destinato a una fugace gloria estiva prima della sfioritura autunnale.
04. METAMORFOSI
In
Giappone ho percepito ben poche volte l'idea di essere umano; gli
abitanti tendono a essere spesso un qualcosa di inanimato,
impersonale. Un mezzo per raggiungere l'obiettivo, più che l'essere
che concepisce l'obiettivo stesso. Sono alienati.
Per
dire: durante gli spostamenti in metropolitana l'entità giapponese
perlopiù dorme o giochicchia al cellulare (perché sì, il telefono
si può usare ma è obbligatorio eliminarne la suoneria ed evitare le
telefonate, pena la pubblica gogna) e mi è capitato di divenire un
semplice oggetto che occupa una superficie o tutt'al più un cuscino
per giapponesi particolarmente addormentati.
Sii
un cuscino, Liuk.
Oppure.
Durante certi attraversamenti pedonali, che chiamarli incroci è
davvero riduttivo, l'essere umano perde nuovamente consapevolezza e
visto dall'alto non è altro che uno sturmstuppen di formiche.
Formiche disordinate.
Sii
una formica, Liuk.
05. MARUNOUCHI, STAZIONE NORD (SENZA PASSARE DAL VIA)
Fermo
a osservare il via vai nella stazione centrale di Tokyo, mi passano
accanto centinaia di persone e io, non so, è come se li vedessi
sfrecciare in modalità time lapse. Donne col kimono, ragazzi coi
capelli verdi, cosplayer riadattate per qualche gioco di ruolo che in
Italia ancora dovrà essere nominato, adulti incravattati e donne
scosciate o compresse in tubini beige, volti che in qualche occasione
notano la mia presenza per poi proseguire verso il compimento del
loro destino frenetico.
Sono
ufficialmente invisibile.
Sono ufficialmente libero.
Sono l'uomo che scrive all'angolo dell'ingresso nord.
Sono l'uomo che le telecamere di sicurezza non registrano.
Quello che la guardia non riprende.
L'uomo che nota le tonalità dei saluti e riesce ad anticiparne la reale gioia.
Sono ufficialmente libero.
Sono l'uomo che scrive all'angolo dell'ingresso nord.
Sono l'uomo che le telecamere di sicurezza non registrano.
Quello che la guardia non riprende.
L'uomo che nota le tonalità dei saluti e riesce ad anticiparne la reale gioia.
Esisto
davvero?, oppure oggi ho compiuto un altro passo verso l'essere il
corvo dei ciliegi?
Guardo
il tabellone dei treni e visualizzo il momento in cui al parco dei
ciliegi una folata di vento mi ha ricoperto di petali. (Cronaca vera,
giurin giurello.)
Roba
da sentirmi dire "Non sparare cazzate, non sei credibile, a
te non potrebbe accadere, mai. I petali ti scanserebbero."
Eppure.
Eppure è successo, qualcosa ha fatto il solito zapping improvviso
tra i programmi della vita senza chiedere permesso: in fondo siamo
storie raccontate in libri che nessuno sa e da che mondo è mondo gli
scrittori sono comprensibili al pari dei discorsi di Trapattoni.
C'era
un corvo in quel parco, l'ho visto e lui ha visto me, nascosto tra i
rami.
Tra tutto quel rosa lui è sempre stato lì, nerissimo eppure invisibile, che bastava un'occhiata all'insù per accorgersene, porca paletta!
Tra tutto quel rosa lui è sempre stato lì, nerissimo eppure invisibile, che bastava un'occhiata all'insù per accorgersene, porca paletta!
È
stata la rivelazione, la risposta che cercavo, caspita. Così
attaccato alle parole da anni non mi sarei mai aspettato che questa
si celasse in una immagine. Tutto quel rosa, quella gente attorno che
a ogni folata diceva "Ooooh" come i bambini di povia. E
quel corvo. Lui. Io. A scambiarci consegne e impressioni in silenzio.
Un punto nero nel rosa. L'illuminazione mi si è rivelata non come un lampo di luce ma un punto di oscurità.
I
petali scivolavano addosso e ognuno era una promessa prossima, un
soffio di "Perché non mi baci?, perché non mi stringi le
mani?" E io che potevo fare, io che sono autunno in trasferta,
una volta compresa la risposta?
Nel
frattempo in stazione altre centinaia di vite continuano a sfiorarmi
eppure, eppure..., eppure non visualizzo altro che te,
Donna-in-rosa-che-sussurra-tra-i-petali, Nostra Signora dei Ciliegi,
e mi ritrovo ad arrabattare parole sul taccuino che vorrebbero
divenire haiku per l'occasione:
"Fiori per strada
"Fiori per strada
Rosa è il cammino
Di chi riflette."
"Infelicità:
Punto dal tuo gelo
Cado sfinito."
"Non
ha più senso
L'infedeltà del mondo,
Dolce autunno."
Le
sensazioni provate in Giappone riecheggiano forti; io, che prima
della partenza ero ossessionato dal divenire tutt'al più un altro me
meno tendente all'infelicità, ho vinto. Jackpot, yeah! Una vittoria
inaspettata, un continuo riempimento di cestini con le biglie del
pachinko. Convinto che questa fosse la meta finale, l'ultima
spiaggia, torno a casa con la consapevolezza di aver vissuto in
questi giorni il capitolo zero di un romanzo tutto da vivere, col
desiderio di creare l'occasione per stringerti la mano un'ultima
volta. Una volta sola. Una volta ancora. E poi, ancora. E poi,
ancora. E poi...
Sei
tu, la Primavera. Sei tu, la Prima Vera.
Con
un altro tassello del puzzle, con un altro passo compiuto verso
l'orizzonte tornerò a casa portando appresso un misto di fuso orario
Japan Rail Pass scatti rubati al tramonto e taciti accordi di
promesse indicibili, grato al corvo made in Japan che mi ha rivelato
il contenuto del biscotto della felicità tra la rugiada dei suoi
ciliegi in fiore. È tempo di riabbracciare l'Europa, riprendere con
la stesura del secondo romanzo (il pdf che ho scaricato sul kindle
dice che "La creazione dell'Autunno" è fermo a 167 pagine,
ho ancora tanto tanto tanto lavoro da fare...) e dopo una carezza a
Zooey guardarmi allo specchio senza limitarsi a cercare i capelli
bianchi.
Sempre
più consapevole di ciò che sei, mio caro corvetto Liuk.
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