mercoledì 27 maggio 2015

TOKYO KYOTO e altri anagrammi (parte 3 di 3)

06. IL GIOCO DEGLI STRATI.



Esiste una stortura, un punto nero che aleggia sul nostro esistere.
Non possiamo che percepirne l'essenza, la lieve contrazione del petto di quando vediamo i petali scivolare incontro alla primavera o le foglie ingiallirsi.
Alcuni la chiamano Dio, alcuni dicono pure di averla vista, di averci parlato, che è un corvo, che se ne sta lì fermo sul ramo a osservare ognuno di noi, proprio te, proprio ora.
Esiste una stortura, un punto nero che aleggia sulla nostra esistenza.
Capita di invocarne il nome ma lei è sorda ai richiami, non bada alle nostre preghiere.
Viviamo avvertendo di tanto in tanto il brivido provocato dal suo sbattere d'ali, lieve e indefinito come il crepitio del ghiaccio che annuncia la fine dell'inverno.
È l'essenza dell'amore, dicono.
È ciò che non possiamo agguantare,  trattenere.
È la vita.
O è un qualcosa che proprio non riusciamo a comprendere, il petalo di ciliegio che al primo refolo vola dalle nostre mani incontro all'orizzonte, alla ricerca di un nuovo cielo.
Esiste una stortura – un corvo? - mimetizzata tra i litigi e le pieghe della tua vita che come me, semplicemente, ti ama.


«E non trovi neppure una scusa migliore?, non ti sforzi
«Io… ma cosa vorresti?»
«Papà posso andare laggiù?»
«Trovi il tempo per scovare le sale più sperdute ma non per una scusa valida?»
«Non ho nulla da dire…»
«Mamma, posso…?»
«Sei giorni! Su sette! Sei giorni! E cosa pretendi? Un applauso? Non ho neppure idea, da quanto va avanti questa storia? Chi sei? Chi ho sposato, chi?»
«È solo una distrazione…»
«Se non lo fossi venuta a sapere… tu e il tuo stupido pachinko, ma almeno ti rendi conto? Tuo figlio è prossimo alla scuola, e tu che fai? Spendi i soldi in quei locali?»
«Mamma?, papà?»
«Basterebbe vincere una volta e…»
«Niente e! Ma ti senti?»
“Maledette telecamere di sicurezza” pensa Soichiro mentre con le dita accartoccia uno scontrino trovato nella tasca di dietro del pantalone.




 
Alla quarta richiesta di attenzione senza risposta, il piccolo Keisuke – cinque anni, caschetto castano scuro e uno spazio tra gli incisivi “grande abbastanza per nasconderci il Kami della Fortuna” – si dirige a saltelli accennati verso l'altalena principale, accanto all’area pic nic.
Nonostante più e più volte nonni e zii lo avessero portato al parco principale di Tokyo, soltanto tra la folla del Shinjuko Gyoen si sente libero di dare sfogo alle sue energie più disparate: quel luogo è per lui sì frequentato ma non abbastanza da impedirgli una capriola, se solo avesse voluto sfidare le occhiate di rimprovero dei genitori.
In quel momento a Keisuke il luogo appare come il più desiderabile del pianeta; attorno i ciliegi in fiore ammantano di rosa lui l'orizzonte e il cammino come disordinate scie di Hello Kitty e a ogni sferzata del vento si leva un coro di ammirazione per i petali in caduta libera.
Senza rendersene conto si intrufola tra i turisti che osservano le evoluzioni dei giocolieri e prima ancora di applaudire inizia con quello che lui definisce il gioco degli strati, una sfida nella quale formula in silenzio una domanda dopodiché isola parole a casaccio tra quelle della folla cercando di ottenere una risposta verosimile, un consiglio.
Un modo per svuotare la mente riempiendola di un roboante silenzio setacciandone il fondo alla ricerca di frasi appiccicate. Si sentiva meglio, dopo. Più leggero.
Spesso alla conclusione di una acrobazia impossibile Keisuke strattona la manica del genitore più vicino, con l'urgenza di chi vorrebbe diventare l'uomo che incanta la folla; di ritorno però non riceve mai neppure un incitamento nascosto tra le rughe dei rimproveri. Indifferenza, perlopiù. Nessuno che gli spiegasse perché quella gente può saltellare a piacimento e a lui invece non è neppure permesso spostare le scarpe al di fuori del mezzo tsubo che delimita i bordi della strada principale.
Solo un concetto gli appare via via più chiaro, alla fine di ogni spettacolo: mantenere la rigidità del padre o imitare i movimenti degli artisti di strada non avrebbe modificato la sua inadeguatezza verso il mondo circostante, le cose accadono e se ne fregano del suo volere, ciò che vorrebbe cambiare – dal colore in camera allo zainetto logoro di Yu-Gi-Oh – lo farà anche senza il suo intervento.
Il pensiero, una bozza di malinconia che ancora non comprende e che lo accompagnerà durante la vita come un velo, gli procura un sorriso sbilenco.
Ha il sentore che ci sia un qualcosa di sbagliato in ciò che vede; un po' come se, come se scoprisse suo padre mangiare sushi con le mani o sua madre urlare all'iPhone durante gli spostamenti in metropolitana. Tutto quell'ordine, quei capelli impomatati, quei sorrisi composti lo portano a saltellare se possibile ancor più sgraziato zigzagando tra la folla, coi genitori oramai due punti lontani.
Raggiunta quella che a Keisuke sembra una distanza di sicurezza, si volta per osservare il litigio dei genitori e da lì il mulinar di braccia e accuse li fa apparire come quei due architetti che vide litigare fuori da casa sua.
«Per la scelta del campanello», disse poi sua madre scuotendo la testa.
Gli adulti che litigano sono ridicoli, quelli che saltellano no.
Con una nuova verità sulle labbra, Keisuke si accorge che l'altalena è già occupata da due bambini; a lato, gli occhi delle famiglie seguono attenti il dondolio mentre le bocche discorrono sulla primavera, l'incuria dei turisti e ciò che manca alla nuova generazione per far rifiorire il Grande Giappone proprio come i ciliegi.



Keisuke vorrebbe aspettare sua madre seduto sui gradini ma nell’attesa gli adulti accanto gli avrebbero rivolto troppe domande, così si incammina verso il percorso fiorito alla ricerca di uno spiazzo libero, continuando ad accumulare passi a testa bassa, fino a quando un incessante cracracra ovattato - ...possibile? - lo induce a rallentare il passo.
Da dove proviene?
Per un momento pensa di aver camminato tanto da essersi addentrato in un bosco magico, magari è la voce degli alberi, poi però la vista di altri adulti nei paraggi gli stronca la fantasia sul nascere.
Con lo sguardo all'insù cerca di localizzare il gracchio ma gli occhi non registrano che pallidi petali di ciliegio.
Eppure, sono sicuro che...
Keisuke alza le braccia e con le dita sferza l'aria nel tentativo di bloccare qualche petalo al volo, solo per il gusto di sentirsi grande abbastanza da deviare la traiettoria di un qualcosa; e rimane così, a mani aperte e in cerca di altri colori, fin quando un colpo di vento gli mostra i contorni di una coda piumata nascosta dall’intreccio dei rami. È un corvo, non ha dubbi. Si stropiccia le palpebre e una volta rimessa a fuoco la zona nota il contorno del becco e le zampe ben salde al ramo. 

 
Un corvo tra i ciliegi, nero su rosa, e io non l'ho visto?!?
Infastidito dall'essere spiato prende un sasso pronto a scagliarlo addosso al volatile ma a metà rotazione del polso incontra ancora lo sguardo impassibile del corvo e lascia ricadere la pietra a terra; schiocca più volte la bocca per ricrearsi la saliva scomparsa per lo stupore, vorrebbe urlare per distogliere l'animale dalla contemplazione ma si ritrova invece con l’offrirgli i petali raccolti in precedenza.
Rosso d'imbarazzo per il gesto avventato controlla non ci sia nessuno nei paraggi: le mani sudaticce suggeriscono di rifugiarsi al più presto tra i litigi dei genitori eppure quella stessa tensione dipinge sul volto un sorriso del tutto simile a quello del mese scorso, quando dopo un anno intero di suppliche sua nonna Marika lo aveva riaccolto nella sua casa a pochi passi dal parco Shiretoko.
Un sorriso, sì. A volte – spesso, ma questo Keisuke ancora non lo sa – un sorriso sincero apre più porte di qualsiasi passepartout. 
Così, senza smettere di fissare la fessura tra gli incisivi del bambino, il corvo dispiega le ali e scende di ramo in ramo fermandosi solo nel momento in cui Keisuke con un balzo tenta di acchiapparlo.
«Perché non scappi?»
«...»
«Non avevi paura della pietra?»
«...»
Il corvo si guarda intorno e Keisuke strofina i petali sui polpastrelli prima di mangiucchiare le unghie nell'attesa di una risposta. Gli piacciono, i corvi. La gente tende a evitarne il contatto eppure ogni volta che con gli amici batte i piedi più forte per spaventarli loro non fingono neppure di cambiare direzione. E poi hanno il colore della notte e Keisuke inizia a capire che le azioni senza sole non sono mai insignificanti.
«Come mai te ne stavi nascosto?»
«Nascosto?»
«E cosa fai?»
«Osservo. Chi resta immobile non esiste.»
«Se ti vedo, esisti.»
«Vedi ciò che vuoi.»
«Cosa dici?»
«Prima hai preso tre petali al volo, ricordi? Li hai visti perfettamente no? Mentre li guardavi da questo ciliegio ne sono caduti altri ottantasette, te ne sei accorto?»
«No.»
«...»
«Ma come lo sai?»
Keisuke fissa il terreno e per mezzo minuto conta i petali caduti, sicuro che il corvo stia raccontando bugie.
«Sono tanti, davvero.»
«…»
«Io, non capisco. Tu sei tutto nero ed è primavera, come mai nessuno ti vede?»
«Se non avessi gracchiato mi avresti visto?»
Il bambino si gratta la testa, in attesa di una risposta che non arriva.
«Non ti stupisce sentirmi parlare?»
Keisuke mentre guarda la pelle morta del cranio incastrata sotto l'unghia dell'anulare risponde che «No, in televisione parlate sempre tutti.»
«Ma i cartoni animati non sono…»
«Tu mi stai parlando, no?»
Il corvo, fingendosi distratto, gracchia a un paio di passerotti che nel frattempo si sono avvicinati all'albero.
«E cosa fai tutto il tempo lassù?»
«Io sono il tempo. Osservo. Aspetto.»
«Cosa?»
«Quello che deve accadere.»
«Non ti capisco, sei buffo.»
«Buffo?»
«...sì.»
Keisuke inizia a correre attorno all'albero fino a quando avverte le prime fitte alla milza e poi ancora un po', in quella sorta di esercizio inventato per – dice lui – migliorare la resistenza. Il suo sogno è segnare il goal vittoria durante la finale del Mondiale, ma come potrà mai partecipare se alla fine di ogni scatto le tempie pulsano impazzite e i polpacci irrigidiscono? Sotto con gli allenamenti improvvisati, dunque.
Il corvo, incuriosito dall'interpretazione sgraziata di quella che potrebbe essere una qualche danza indiana, zampetta fino all'estremità del ramo senza smettere di seguire i movimenti del caschetto.
«Perché.. non.. voli.. via?»
«Ma io sono volato via, eppure mi trovo ovunque.»
«Ah.. ah... che... dici.»
«I tuoi genitori, capita di essere sgridato no?»
«Sì. Ieri non ho pulito la scrivania, allora papà...»
«Ecco. E quando se ne va dopo averti sgridato, non ti sembra che sia ancora lì?»
«...sì.»
«Appunto.»
«Ma tu ci sei! Ti vedo!»
«...»
«Non ti capisco.»
«Questo è un bene. Chi ci prova impazzisce dal dolore.»
«Dolore?»
«Sì.»
«Come quando cadi dalla bicicletta e le ginocchia fanno le croste?», domanda mostrandone fiero un paio in via di guarigione.
«Sì.»
«A me piace alzarle ma mia mamma mi sgrida sempre.» Unendo pollice e indice a mo' di bisturi, Keisuke inizia a staccarne una soffiando forte sulla pelle arrossata. «Dice che non si deve fare, che poi la pelle ricresce male. Però è divertente!»
A testa bassa, il bambino non si accorge che il corvo ha nel frattempo scrollato le ali per abbandonare il ciliegio e ora è proprio a mezzo metro da lui: chissà da quanto tempo era lì! Entrambi si scambiano un'occhiata di complicità prima di notare il grumo di sangue che si espande dalla crosta verso la caviglia.
«Ahi!»
«Che succede?»
«Sanguino, fa male.»
«Il sangue significa esperienza.»
«Esperienza?»
«Sì.»
«Ma fa male.»
«Non il sangue, l'azione.»
«Ma se sanguini tanto hai tanta esperienza? Passi di livello come nei videogiochi?» Preme la pelle attorno al ginocchio per formare una goccia di rosso rubino.
«Se non esageri, sì. Se vuoi creare devi sanguinare.»
«E se esagero che succede? Faccio indigestione? Perché a me piace la cioccolata sai? Ieri sera per esempio...»
«Esatto, non devi esagerare.»
«Ma io so il trucco!»
«Trucco?»
«Se muovi la crosta così, il sangue non esce.»
Keisuke inizia ad arrotolare la parte già staccata con brevi strappi fino a ridurne la base, poi aggrotta la fronte e lascia scivolare dalla sua bocca una perplessità.
«Ma allora non faccio esperienza? Resterò scemo?!?»
«Fare, non fare... c'è tanta differenza?»
«Sei strano...»
Il corvo nota delle briciole accanto ai piedi del bambino e si avvicina a spostare i petali accanto col becco, sfiorando in un paio di occasioni i legacci delle scarpe. Keisuke lo lascia fare senza muoversi, percepisce una sorta di scossa elettrica lungo il corpo e si domanda se quel corvo è reale o se quella che sente è la voce del parco: magari ha finalmente vinto il gioco degli strati e il parco lo sta ringraziando. Sorride.
«Non ti annoia vivere tra i petali? E quando sfioriscono? Dove vai? Dov'è la tua mamma?»
Inginocchiato, con le mani raccoglie le briciole rimaste offrendole al suo nuovo amichetto.
«Sarebbe bello giocare per sempre. Posso, vero? Posso non diventare grande e serio come il mio papà? Lui, lui non ride mai. Io voglio ridere. Come si fa?»
Impegnato a spezzettare le briciole, il corvo pensa che sì, a quel bambino il segreto della felicità lo potrebbe anche svelare.
«Ascoltami. È semplice, se ci pensi... Basta un'azione per essere felici:              »

«Keisuke! Keisuke!»
I genitori lo richiamano con urla e gesti, incuranti delle occhiate della gente attorno e del gruppo di turisti che si volta famelico già con le macchine fotografiche pronte a cogliere chissà quale evento.
Ammaestrato all'ubbidienza, Keisuke si blocca; sfrega rapido le mani per togliere i residui di fango prima di alzarle entrambe a far intendere che li ha sentiti.
Rigirandosi per salutare il corvo un'ultima volta non lo vede più; controlla l’esistenza di una massa nera tra i rami ma non nota che diverse tonalità di rosa, così si limita a raccogliere un paio di petali prima di tornare saltellando verso i genitori, attento a controllare ogni tre passi se nella punta della lingua fosse rimasta attaccata quell'ultima domanda che già non ricorda più.
Durante il tragitto, i ciliegi proseguono con la semina formando un tappeto rosa per rendere ancor più lievi i passi coi quali Keisuke affronterà la vita.
Ovunque e da chissà dove, un corvo sfrega il becco in quello che potrebbe apparire un sorriso, lasciando che il vento disperda l’eco della risposta. 



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